Engelmayer, le cartoline che danno speranza

Non è ancora il momento per riportare in strada l’irriverente nudità di Shoshke. Il costume in gommapiuma rosa a forma di donna nuda, la giacchetta piumata, la parrucca stilizzata bionda e il rossetto prima o poi torneranno a mostrarsi con la loro provocatoria ironia. Ma per il momento Zeev Engelmayer, l’illustratore israeliano dietro all’alter ego Shoshke, è impegnato in altro. Ogni giorno, da oltre un anno, dedica tre, quattro, cinque ore a disegnare cartoline. Fogli A4 su cui ritrae con uno stile colorato, simile a quello dei bambini, l’Israele del post 7 ottobre. Nei suoi disegni ricorrono soprattutto i volti dei rapiti. «Non so se sia una missione, ma sentire le famiglie ringraziarmi, definire i miei disegni come un conforto dà un significato a quello che faccio. Mi dà l’impulso a continuare», spiega a Pagine Ebraiche l’illustratore. Nell’arco dei mesi sono centinaia i disegni accumulati, molti sono pubblicati sui suoi profili social. «Il 7 ottobre ho iniziato quasi subito a disegnare.
Per me l’arte rappresenta il linguaggio con cui mi confronto con il mondo». È accaduto con il 7 ottobre, quando sulla televisione sono apparse le immagini degli attacchi di Hamas a Sderot e ai kibbutz. «Il primo disegno l’ho fatto per mia figlia. Era molto impaurita e ho cercato di rappresentare qualcosa per calmarla». Poi la mente lo ha portato verso il Guernica di Picasso, a cui si è ispirato per un disegno in bianco e nero intitolato Nova music festival. «Mi sono affidato all’arte di un altro per esprimere i miei sentimenti, l’orrore che stavo provando».
Per le due settimane successive il bianco e nero è rimasto il tratto comune dei suoi lavori. «Pensavo: i colori sono troppo felici per questa situazione. Ma mi sbagliavo». Uno delle prime opere a colori è stata il ritratto di una strage in un kibbutz. «Mentre lo facevo, mi sembrava di essere lì, testimone dal vivo degli eventi». L’impatto è stato tanto forte da portarlo a «non disegnare più direttamente la violenza e il sangue. Volevo ribaltare la situazione, trovare qualcosa di positivo». Così è nato ad esempio nonna Yaffa. «Tutti avevano visto l’immagine di Yaffa Adar (85 anni), mentre veniva portata via su una golf cart a Gaza. Così ho ripreso quell’immagine e l’ho disegnata mentre tornava indietro, sempre su una golf cart, ma questa volta felice e in un mondo colorato. Al posto dei terroristi della foto originale, l’ho circondata da donne, ballerini e fiori per mostrarle amore e tenerezza». Qualcuno, racconta, ha storto il naso. «Ma come è rapita e tu la disegni così felice? Io però volevo dare un messaggio ottimista». Quattro giorni dopo la pubblicazione del disegno nonna Yaffa è stata liberata. E da allora le famiglie degli ostaggi hanno iniziato a chiedere a Engelmayer di disegnare anche i loro cari. «Credo di aver parlato e ricevuto richieste da almeno una cinquantina di famiglie di rapiti. Prima chiedevano soprattutto ritratti, ora sempre più spesso momenti da ricordare». Ne cita uno su cui non ancora iniziato, legato ad Alex Dancyg, educatore e studioso della Shoah, ucciso durante la prigionia a Gaza e la cui salma è stata recuperata dall’esercito il 20 agosto.
«La nipote mi ha mandato una lettera, raccontando che il nonno, quando tornava da suoi viaggi in Europa, portava sempre con sé un grande wafer. E ogni volta lo mangiavano tutti insieme. Mi ha chiesto di disegnare questo ricordo per la famiglia». Una donna del kibbutz di Be’eri ha chiesto di essere rappresentata con tre colombe: la madre, il fratello e il nipote, assassinati il 7 ottobre. «Ho sempre voluto la libertà di rappresentare ciò che volevo. Per anni ho spinto sull’ironia, a volte assurda, a volte volutamente volgare. Con la guerra il mio lavoro si è trasformato: faccio disegni seguendo le richieste delle famiglie delle vittime del 7 ottobre. E sono contento di farlo». Vignettista per Yedioth Ahronoth e Haaretz, Engelmayer è da sempre impegnato politicamente. Spesso nei panni di Shoshke, ha manifestato per la libertà sessuale, per diritti delle donne, per l’uguaglianza tra arabi ed ebrei, contro il governo del premier Benjamin Netanyahu.
Ora la sua priorità sono gli ostaggi. Le sue cartoline sono diventate un simbolo della campagna per chiederne la liberazione. Alle fermate degli autobus di Tel Aviv, Gerusalemme, Haifa si vedono i suoi ritratti colorati dei rapiti. Le famiglie li portano con sé ovunque. L’ambasciata d’Israele in Vaticano ha donato un suo disegno al papa. Musei e università hanno trasformato i suoi lavori in mostre. «La prima all’estero è stata organizzata in Italia, a Carrara e da lì i miei lavori hanno iniziato a girare il mondo». Da quando ha iniziato con le cartoline, ogni altro lavoro è stato rifiutato. Unica eccezione, un grande murale realizzato per un centro sociale per famiglie di Afula, frutto della collaborazione con il gruppo artistico Broken Fingaz. «Ho disegnato bambini, alieni, un gatto, un cammello e un polpo. Stanno tutti volando perché il locale si chiama Afu La (lauf in ebraico è volare, ndr)».
Il segno di una vita che continua. «Ma non ho mai smesso di lavorare ai ritratti dei rapiti. Loro penso siano la priorità». Disegnare, conclude Engelmayer «mi permette di essere distante e vicino allo stesso tempo dall’attualità d’Israele. Penso sia una delle funzioni dell’arte: far riflettere, senza farsi trascinare dagli eventi. Siamo così immersi nelle notizie, spesso manipolati, da fare difficoltà ad essere pienamente consapevoli di cosa accade». L’arte invece non è soggetta alla frenesia del tempo. «Possiamo fermarci, guardare, pensare. Per me ha un effetto positivo, dà speranza».

Daniel Reichel