MEMORIA – I Giusti del Piemonte e il ricordo dei salvati
Tripla cerimonia, questa settimana a Torino: Raphael Singer, direttore per gli Affari economici e scientifici dell’ambasciata israeliana, ha consegnato prima a Torino e poi a Mondovì tre diplomi e medaglie che Yad Vashem assegna a coloro che sono riconosciuti come Giusti tra le Nazioni. Dario Disegni, presidente della Comunità Ebraica di Torino, ha aperto la cerimonia in onore di Emilio Germano e della famiglia Michiardi, ricordando come il riconoscimento al giudice Emilio Germano sia decisamente tardivo: la prima segnalazione risale al 1955, e la vicenda del partigiano Enrico Avigdor, arrestato e condannato a morte nel 1945 e poi salvato proprio grazie all’intervento del giudice Germano, era nota. Disegni ha sottolineato come negli anni dello sterminio nazista singole persone rette e virtuose hanno saputo dimostrare che opporsi era possibile, dando un esempio di valore civile e morale alle generazioni future. Razzismo, antisemitismo e xenofobia non sono scomparsi, e l’esempio dei giusti è una forma di vaccino contro l’intolleranza.
Le autorità alla cerimonia
Molte le personalità intervenute a onorare la memoria dei Giusti premiati a Torino, a partire dal vicesindaco, Michela Favaro, che ha aperto il suo intervento ringraziando per l’invito a partecipare a un momento di riflessione sulla storia della città: «Da qualche anno organizziamo a Torino le Giornate della legalità, in cui si riflette sul significato profondo delle leggi, e in particolare questa storia mostra con grande chiarezza come anche un uomo di diritto può scegliere di violare delle leggi, evidentemente ingiuste. Bisogna sempre ricordare che ci sono valori universali, quali la solidarietà umana e la capacità di riconoscere una ingiustizia, che sono disgiunti dalle leggi. Ricordare qualcuno che ha avuto il coraggio di violare la legge in nome di valori più alti è uno stimolo e una sfida su cui tutti dovremmo riflettere». Davide Nicco, presidente del Consiglio regionale, ha ricordato di essere a sua volta nipote di un Giusto, e la sottosegretaria alla Presidenza della Regione Piemonte, Claudia Porchietto, ha portato l’attenzione sul momento complicato in cui le nuove generazioni stanno crescendo, tra cattiva informazione e dalle fake news. Il prefetto di Torino, Donato Cafagna, è tornato sulla forza di coloro che sono stati capaci di opporsi a un progetto criminale: «Ricordare queste persone è un esercizio di memoria che non è sterile, è una affermazione di responsabilità: il loro esempio è un messaggio forte e ricorda come fosse comunque possibile fare scelte anche pericolose». Anche il presidente della Corte d’Appello di Torino, Edoardo Barelli Innocenti, ha onorato l’operato dei Giusti: «Hanno dimostrato un coraggio morale eccezionale, Germano era un giovane magistrato: all’epoca aveva una trentina d’anni e ha potuto portare avanti le sue azioni perché le sentiva giuste e aveva, grazie al suo ruolo, un autorevolezza che oggi noi speriamo di riuscire a mantenere». La presidente dell’Ordine degli Avvocati del Piemonte, Simona Grabbi, ha ricordato l’espulsione di 54 avvocati ebrei, e le parole di un magistrato, Mario Fioretti, che poco prima di morire disse: «Tacere non si può, non si deve più, siamo giunti in fondo all’abisso per avere troppo a lungo taciuto. È la nostra peggiore vergogna». Consegnando le onorificenze, Singer ha ricordato due dei suoi nonni sopravvissuti alla Shoah: «Non è la prima volta che porto questa onorificenza a dei piemontesi, è una testimonianza della gente speciale che è vissuta in queste terre. E lo Yad Vashem è una istituzione che prende il suo ruolo molto sul serio, non tutti possono essere riconosciuti come Giusti, è un procedimento lungo e difficile».
Il figlio del salvato e la figlia del Giusto
Guido Avigdor Malvano, figlio del partigiano salvato dal giudice Germano, ha poi raccontato di averne scoperto la storia solo da pochissimo: «In famiglia si parlava poco di quegli anni, sapevamo che papà era stato arrestato durante un attraversamento, era uno sciatore provetto, e teneva i contatti con gli americani in Francia. Colto da una slavina era riuscito con il suo gruppo a salvarsi e a portarsi fino a un rifugio, lasciando però delle tracce che permisero ai tedeschi di catturarli tutti. Voglio farvi notare che aveva 24 anni, e il giudice 33. Erano giovanissimi entrambi. Ho scoperto il nome di Emilio Germano solo la settimana scorsa: a casa si raccontava la storia di mio padre, ma non si dicevano i nomi, e ho finalmente potuto conoscere e ringraziare personalmente la figlia di quel giudice che ha permesso io nascessi, che nascesse mia sorella, e i miei e i suoi figli…». E nel suo intervento Emanuela Germano, a sua volta giudice, ha risposto di avere anche lei scoperto da pochi giorni il nome dei salvati: «Sono onorata e commossa per l’onorefiscienza che viene concessa a mio padre; lui non ne parlava, non considerava fosse nulla più che un dovere morale, non c’era da vantarsi o da raccontare ciò che aveva fatto. Era nato nel 1911, ed era ancora un ragazzo, ma in quel gesto riconosco la sua motivazione: in tutto l’impegno di magistrato, per lui era di essere utile agli altri, e di venire incontro alle persone che avevano difficoltà nella vita, che venivano a casa a chidedere un consiglio, una parola, un gesto di conforto. Dopo la guerra aveva sempre tenuto i contatti con le persone che aveva salvato, era legato alla famiglia Colombo, ma io non sapevo perché erano amici. So che una delle cose che faceva durante la guerra era incarcerare persone che se no sarebbero state deportate, in modo da poter dire che non poteva liberarli, che dovevano stare nelle nostre galere. Sarebbe certamente stato fiero di questo riconoscimento ma l’avrebbe accolto con imbarazzo, per lui l’idea era che bisogna fare del bene agli altri e non chiedere nulla in cambio». In comunità, è stato ricordato, Isacco Levi, storico amico del giudice, lo chiamava sempre “quel chassid del giudice Germano”. Anche il rabbino capo, Ariel Finzi, e sua moglie hanno ricordato di essere amici della famiglia sin dai tempi del liceo e che una delle caratteristiche delle persone che fanno il bene è di non dirlo, di non credere di fare qualcosa più degli altri. Disegni ha ripreso la parola per ricordare il passo del Talmud che dice che chi salva una vita salva un mondo intero.
Domenico e Maria, due Giusti in montagna
Domenico Michiardi e la moglie Maria Garbolino Riva salvarono la famiglia Gandus, che viveva a Torino e nel 1943 cercò la salvezza a circa 60 km di distanza, affittando una stanza a Pialpetta, in Val di Lanzo. Il padre riuscì poi a scappare attraversando il confine, ma quando i tedeschi fecero un primo rastrellamento nel territorio la famiglia Gandus cercò rifugio più in alto, fino a raggiungere la frazione Rivotti dove stavano solo due famiglie. Una li accolse e permise loro di restare per quanto tempo serviva. Roberto Gandus, che all’epoca aveva tre anni, presente alla cerimonia ha ricordato Domenico, noto come Minin, e Maria, che aveva continuato a frequentare salendo ai Rivotti: «Ninin e Maria hanno aperto la porta, a loro non importava nulla di chi fossimo e in cosa credessimo, a loro importava salvare una vita. Davanti a quella baita c’è una panca, e ancora adesso quando mi ci siedo scoppio in un pianto dirotto». Andrea Parodi, grazie al cui intervento la vicenda di Minin e Maria è venuta alla luce, ha infine dato immagini a tutta la vicenda, mostrando fotografie storiche e i luoghi in cui si è svolta la storia che ha portato al salvataggio della famiglia Gandus.