SHIRIM – Inula, gelsomino, vite e oleandri (Yehuda Amichai)
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La vite è casa, come è casa l’uomo,
la vite dorme come un bambino una mano sulla guancia e l’altra tesa
fuori dal suo sonno.
Le ripulse danno al mondo più dolcezza:
il rifiuto del bambino di diventare uomo
e il rifiuto dell’acino di morire amaro.
Piace agli oleandri crescere
in stazioni dei treni abbandonate
dove s’incontrano con l’inula
e col gelsomino e la vite
che rampica, vanamente, lungo muri senza tetto
ma che ancora hanno il cielo e Dio.
L’altra estate andavo sui desertici
binari fra Achzìv e Rosh ha-nikrà,
camminavo invece del treno che non passa più.
Le traverse avevano taciuto
quarant’anni, il ritmo del mio passo
sulle travi calmava le mie gambe, e le mie gambe calmavano
ciò che non avrà mai quiete.
Seconda ed ultima parte del testo di Yehuda Amichai, Inula, gelsomino, vite e oleandri.
Ecco prendere vita, tra le splendide righe, la vite, custode segreta delle antiche case. Le tenere foglie neonate appaiono come dita richiuse, abbozzate appena e già nitide al tocco. Dal nucleo primario si srotolano tenaci filamenti arborei, capillari urgenti, lesti a farsi ramo e braccio.
Che sia l’albero caro ai ricordi, il sapore dolce degli acini bruni nutre ancora i nostri sogni, o la fenice amaranto degli ignoti cancelli, sparge la vite le preghiere nuove nelle ore vacue dei sonnolenti autunni.
Ma più lontano dalla campagna amica mormorano gli oleandri solitari, come grossi cespugli sgraziati, la potenza venefica trasfusa in mille fiori piangenti.
L’altra estate sulle sponde del greco mare ci incontrarono bassi alberelli di vite, come piccoli uomini in fila o in croce, verdi di verdi fronde già ricciute d’uva dorata.
L’inula splendeva per le ardue rocce, irrorava il piano la sua ardente fame.
Ma per l’oleandro, il gelsomino, era ormai tardi.
Shirim è a cura di Mariateresa Amabile, poetessa e docente di Diritti Antichi all’Università di Salerno