USA – «Perché il voto ebraico non cambia»
«In un’elezione storica che ha visto l’ex presidente Donald Trump guadagnare fiducia in quasi tutti i gruppi demografici – uomini neri e ispanici, donne bianche non istruite e asiatici americani, tra gli altri – perché gli ebrei americani sono rimasti ostinatamente fedeli al candidato democratico?». È da questa domanda che parte Rob Eshman, per il Forward, ricordando che un exit poll ha mostrato come gli ebrei abbiano sostenuto la vicepresidente Kamala Harris con il 79 per cento delle preferenze contro il 21 per cento per Donald Trump. Due sondaggi condotti da J Street/GBAO Strategies e Fox News indicavano un sostegno ebraico alla Harris corrispondente rispettivamente al 71 per cento e al 66 per cento. Sono numeri che potrebbero essere aggiornati ma – sottolinea Eshman – coincidono con i risultati di un sondaggio condotto poco prima delle elezioni, che mostrava come il 71 per cento degli elettori ebrei negli swing state appoggiassero Harris.
La spiegazione standard del comportamento di voto degli ebrei americani – ossia che sarebbero bloccati in un “paese fantastico” di sinistra – in pratica dice che essi considererebbero ancora i candidati alla presidenza alla stregua di un Franklin Delano Roosevelt o di un John F. Kennedy, rifiutando di riconoscere le mutazioni della società e la disorganizzazione del Partito Democratico. L’opinionista conservatore Dennis Prager nel 2022 ha scritto: «Non c’è quasi nulla che i Democratici possano fare per danneggiare l’America, o Israele, che riesca a cambiare l’orientamento politico della maggior parte degli ebrei americani».
Ma, scrive Eshman, non è ai repubblicani che gli ebrei americani sono allergici: le loro due principali preoccupazioni sono la democrazia e l’economia. Inoltre secondo gli exit poll di Edison Research, il 34 per cento degli elettori ebrei ha dichiarato che lo stato della democrazia era la loro principale preoccupazione, seguita dallo stato dell’economia, dall’aborto e dall’immigrazione.
Gli ebrei sono il 2,4% degli americani e senza diritto di voto, libertà di religione, libertà di parola e stato di diritto – tutte le tutele che la democrazia offre a una minoranza – la loro vita sarebbe precaria come lo è stata per gli ebrei di tutto il mondo in tutti i tempi. Non sono disposti a rischiare lo status quo per qualcuno come Trump, che ha così poca considerazione per le istituzioni e le tradizioni che da tempo tengono al sicuro le comunità. Non è che gli ebrei siano ciechi di fronte agli eccessi del Partito Democratico o della sinistra americana, si legge sul Forward, e molti degli stessi elettori che hanno votato per Harris si sono opposti ai negazionisti del 7 ottobre, agli odiatori di Israele e ai teorici della cospirazione antisemita che hanno infettato la sinistra. L’Anti-Defamation League si è espressa sia contro i manifestanti dei campus che contro Trump, ma gli ebrei americani, che hanno a cuore la democrazia, si sono rifiutati di premiare chi ha fomentato un attacco al Congresso, ha rifiutato i risultati di un’elezione e si è lasciato andare a una retorica divisiva, spesso antisemita.
Amy Spitalnick, CEO del Jewish Council for Public Affairs, dopo le elezioni ha scritto: «L’abbraccio del Presidente Trump a teorie e tropi cospirazionisti antidemocratici, antisemiti, xenofobi e razzisti cerca di mettere le comunità l’una contro l’altra. La comunità ebraica sa bene dove portano odio, estremismo e disumanizzazione, e saremo in prima linea nelle battaglie che ci attendono perché i nostri valori e la nostra sicurezza dipendono da questo».