LIBRI – Il viaggio di Singer in Israele
Nel 1955 Isaac Bashevis Singer si recò per la prima volta in Israele, trascorrendo nel paese due mesi e ricavando da questa esperienza una serie di articoli settimanali per il quotidiano in lingua yiddish Forverts. Un affresco del giovane Stato ebraico affascinante e complesso perché «complesso era il rapporto di Singer con Israele come idea e come luogo fisico», scrive David Stromberg nell’introduzione a Viaggio in Israele, l’antologia di quegli scritti ora tradotti e pubblicati in Italia dall’editore Giuntina. Presentato in anteprima al Museo della Padova Ebraica, il Viaggio in Israele di Singer è lettura da non perdere per gli amanti del grande scrittore nato a Varsavia e poi vincitore nel 1979 del Premio Nobel per la Letteratura. Si inizia dalla nave Artsa che da Marsiglia lo sta portando a Haifa, passando dal porto di Napoli. Un’attesa a tratti logorante, fin quando finalmente il monte Carmelo appare una mattina all’orizzonte. E così due mesi di avventure hanno inizio partendo da Haifa e poi passando da Tel Aviv, Gerusalemme, Safed, il Mar Morto. L’Israele dei kibbutz e quella dei haredim. Così diverse, eppure intrinsecamente legate.
«Può darsi che gli ebrei tunisini sbarcati dopo di me abbiano baciato la Terra d’Israele, ma io non l’ho fatto. Non c’era terra ma c’erano sassi ed ero circondato da funzionari, facchini e taxi. Prova tu a baciare la terra quando hai accanto un furgone e un poliziotto», esordisce Singer con ironia e relativo disincanto. Una delle prime esperienze è in una ma’abara, un campo profughi destinato all’accoglienza dei migranti ebrei originari in particolare dei paesi arabi. «C’è una folla di povera gente, di persone che non si sono ancora inserite», documenta lo scrittore. E tuttavia «vi regna uno spirito di libertà e di speranza tipicamente ebraiche». Struggente la descrizione di uno Shabbat in kibbutz. «Ho una strana sensazione», rivela. «Qui è impossibile profanare lo Shabbat, lo Shabbat è qui presente, è intrinsecamente sacro». A Gerusalemme Singer ci arriva con calma, prendendosi del tempo. L’arrivo in Israele è d’altronde «un’esperienza importante per ogni ebreo e forse è per questo che c’è come la tendenza a rinviare la visita a Gerusalemme». Il fatto, sottolinea l’intellettuale, è che «uno non vuole ammassare le cose belle tutte assieme».
Singer incontra nelle sue peregrinazioni tante anime, sfaccettature, contraddizioni. Israele gli appare come una terra riscaldata da «un fuoco speciale», ma anche come «una grande pergamena bianca il cui testo è stato cancellato e ne è rimasto solo il profumo, e vi si può scrivere di nuovo e forse cancellare di nuovo». Ogni volto, ogni persona, lo colpisce. Anche perché ciascun abitante di Israele «ha contribuito a costruire il paese, forse ha rischiato la vita per il paese». E quindi, secondo Singer, ogni israeliano potrebbe scrivere un libro sulla propria vita.
Adam Smulevich
(Nell’immagine in alto: la presentazione in anteprima con la presidente della Fondazione per il Museo della Padova ebraica Gina Cavalieri e il traduttore Enrico Benella)