ROMA – I 110 anni dell’Oratorio di Castro, tra storia e nuove reti di coesione

Nel 2014, festeggiando i cento anni dell’Oratorio Di Castro, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni aveva spiegato che quello che è noto come “il Tempio di via Balbo” è sempre stato qualcosa di intimamente diverso dal Tempio Maggiore inaugurato dieci anni prima nell’area dell’ex ghetto, ma che tra le due sinagoghe c’è sempre stato un dialogo intenso. Perché «tutto ciò che non poteva essere fatto nell’una, si faceva nell’altra».
Ora che l’Oratorio Di Castro di anni ne compie 110, la Comunità ebraica ha fatto di nuovo il punto sulla strada percorsa da allora. L’appuntamento è per domenica con una giornata non soltanto di studio, ma anche di «partecipazione collettiva e di riflessione». Certo lo spirito sarà lieto, «ma sarebbe sbagliato considerarla una mera celebrazione», avvisa Claudio Procaccia, il responsabile del Dipartimento Beni e Attività Culturali della Comunità, che aprirà la giornata con un intervento introduttivo. C’è molto di più e l’idea è che a partire da domenica si possano attivare nuove opportunità «di coesione e colleganza, perché questo Tempio, iniziale approdo di ebrei non romani “emancipati” dei quartieri umbertini della capitale, ha rappresentato e continua a rappresentare molto per tante anime della nostra Comunità». L’ambizione è di rilanciarne la vocazione di «presidio ebraico», anche guardando alla costruzione di nuove reti internazionali.
Un “melting pot” presto spiegato. La storia dell’Oratorio, ricorda Procaccia, inizia con un lascito d’inizio Novecento erogato da Grazia Pontecorvo, vedova di Salvatore Di Castro, affinché con esso fosse costruita una sinagoga in un quartiere a sempre più alta densità ebraica come l’Esquilino. Inaugurato in un periodo di grandi stravolgimenti storici, a pochi mesi dall’entrata in guerra dell’Italia, l’Oratorio ha assunto negli anni varie funzioni e si è confrontato con le alterne vicende del “secolo breve”. Testimone a partire dall’autunno del 1938 della persecuzione razzista, è stato anche simbolo di vitalità e resistenza al nazifascismo e quindi centro propulsore di ripartenza post-bellica. Qui si fermò nel dopoguerra la Brigata Ebraica, l’eroico corpo di volontari giunti dalla Palestina mandataria per liberare l’Europa e riportare sollievo a comunità disastrate. Qui, a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, fu data accoglienza a molti ebrei libici espulsi dal loro paese. Dal 1972 il fabbricato ospita anche la sinagoga ashkenazita che a suo tempo raccolse molti profughi provenienti dalle comunità martoriate dai nazisti, dai loro alleati e collaboratori. Tanti mondi intrecciati che l’iniziativa di domenica illustrerà parlando di “famiglie, persone e personaggi”, de “l’architettura di una sinagoga” e dei “racconti e aneddoti del Tempio”. Sarà anche inaugurata una mostra documentale e fotografico su questo Tempio così peculiare per l’ebraismo romano, il primo ad essere costruito fuori dall’area dell’ex claustro. L’interesse è alto, sottolinea Procaccia: «Abbiamo avuto un numero importante di iscrizioni».