FRANCIA – Lezioni di jihadismo dal processo Paty
È in corso in Francia il processo per l’omicidio di Samuel Paty in cui otto persone sono accusate di aver creato un clima favorevole alla violenza terroristica islamica e di aver incoraggiato ad agire Abdoullakh Anzorov, l’assassino dell’insegnante di scuola secondaria. Scrive su Tribunejuive Eric Delbecque, ex direttore della sicurezza di “Charlie Hebdo”, che anche se il procedimento è incentrato su due figure – il padre della ragazza che ha accusato ingiustamente Paty e l’attivista islamista radicalizzato e già schedato che ha diffuso il clima di odio contro di lui – si tratta in realtà di un processo alla “jihadosfera”, di cui tutti gli imputati fanno parte. Secondo Delbecque è un processo cruciale perché mostrerà se abbiamo compreso o meno la natura dell’islamismo e come le sue componenti lavorano insieme. Separatismo, guerra ideologica e violenza armata, presenti in tutte le forme di totalitarismo, formano un continuum del radicalismo islamista, che porta a regimi proni a distruggere la libertà diffondendo terrore, brutalità e controllo sociale. Diffondere odio per la Repubblica francese, minare la coesione nazionale, manipolare l’informazione denunciano una presunta islamofobia in maniera strumentale, minacciare intellettuali e scrittori, sono tutte azioni con cui i jihadisti cercano di instaurare un clima di censura, mentre i terroristi portano avanti azioni con cui massimizzare la paura e indebolire i valori repubblicani. Scrive Delbecque: «La differenza tra un salafita “quietista” (in realtà un separatista o un propagatore di strategie e tattiche di intimidazione) e un salafita “jihadista” è semplice divisione del lavoro, a seconda della sensibilità di ciascuno, del grado di incoscienza, della posizione sulla scala dell’odio pronto a esplodere fisicamente, delle competenze, del livello di sociopatia (o di altri disturbi della personalità, che comunque non aboliscono il discernimento) e del percorso di vita, ma nulla li divide fondamentalmente sul nocciolo della dottrina e sull’obiettivo finale».
Il jihadismo non è violenza armata, è la destabilizzazione della Repubblica a fini totalitari, con la forza o con la sovversione ideologica e separatista comprese tecniche di propaganda, azione psicologica e ideologica, guerra dell’informazione, disinformazione e intimidazione. Il jihadismo per Delbecque designa l’azione di indebolimento del modello democratico e copre l’intero spettro strategico e tattico, dottrinale, politico e operativo del terrorismo, della guerriglia e della guerra, ma anche l’uso del modello democratico e della società liberale per fini illiberali e antidemocratici. In breve, spiega, il termine “jihadista salafita” è usato per descrivere sia un “influencer” separatista che un terrorista, e non c’è migliore illustrazione di questa complicità dell’esplosione del reato di apologia del terrorismo, avvenuta in particolare dal 7 ottobre 2023.
Per combattere il jihadismo è necessario combattere separatismo e guerra ideologica, garantire il rispetto della scuola, della laicità, delle forze dell’ordine e dei sostenitori della blasfemia, dei giornalisti di Charlie Hebdo e di tutti gli autori che scelgono di usare la loro libertà di coscienza e di espressione, punire i tentativi di polizia morale e considerare l’integrazione come obbligo per chi vuole legare il proprio destino a quello della Francia. Gli avvocati dei due imputati principali chiederanno l’assoluzione cercando di separare l’atto terroristico dal clima di odio propagato da questi due individui, se i tribunali non li ascolteranno, conclude Delbecque, forse sarà possibile pensare che la Repubblica abbia capito cosa sia davvero il jihadismo salafita, e onorare la memoria di Samuel Paty.