SHIRIM – Si scoprono al mattino tracce di cinghiali (Ory Bernstein)

Si scoprono al mattino tracce di cinghiali:/impronte spampanate e un cumulo di terra non di qui./Di notte passano le loro dense ombre,/coprono a tratti i lumi messi lì da noi/ per avvolgere di luce scenografica gli alberi./ E con piacere apprendo che, assetati, si fanno più vicini/, irsute creature che spuntano da un bosco/ che non c’è più, il muso alle radici delle piante/ da noi curate, come se il buio/ non fosse stato fugato e le bestie, devotamente, ancora/ irrompessero da una tenebra sconfinata ed eterna./ Le cose sono salde di giorno. Le tue ben soppesate./ Giungono voci dal campo degli scout. Solamente/ le grandi sagome dei cinghiali è come fossero ancora qui./ Si possono fra venire i cacciatori. A sera gli si potrà sparare./“Quand’eravamo in Italia”, dicevi, “lo ricordi, te lo devi/ ricordare, ci schermavano gli occhi con la mano/ per vedere se i selvaggi cinghiali fossero già al pascolo/ e li cacciavano poi come balene arenate all’asciutto,/ e portavano a casa i loro corpi pelosi, corpi di mammiferi,/ come grossi bambini addormentati, avvolti nelle coperte”./ E da allora, davvero, tutti e due aspettiamo una bestia/ che irrompa, gli occhi fiammanti, senza ponderare.

Il testo di Ory Bernstein (Tel Aviv 1936) è qui riportato nella traduzione a cura di Ariel Rathaus.
I versi onirici paiono come soffusi, sospesi sul limitare tra sogno e realtà.
Giungono, nella notte, invisibili creature selvatiche. Il passaggio è noto per le impronte lasciate dai possenti grugni che con violenza divelsero radici, distrussero docili piante.
Segni agitati del posarsi frenetico dei corpi ferini disvelano un vivere notturno, un’esistenza celata agli occhi umani, ingovernabile.
Nel quotidiano andare per il mondo accade che si smarrisca poco a poco o del tutto il senso dello straordinario. I giorni si fanno grigi negli spazi angusti di tempi affrettati, ove svaniscono, inesorabili, remoti squarci di meraviglioso.
Ma fuori dai vetri appannati delle case, a un passo dal tepore di un letto, di un libro, bestie ancestrali si muovono occultamente, come immagini partorite dall’inconscio. Segni di una vita sotterranea, pulsante e affamata, pronta oscuramente a venir fuori, divellerci dai diuturni legacci dell’essere.
A trascinarci, violentissima, nella buia notte indocile.

Shirim è a cura di Mariateresa Amabile, poetessa e docente di Diritti Antichi all’Università di Salerno