ISRAELE – Kibbutz Sasa colpito da Hezbollah, Angelica Calò Livne: «Noi restiamo qui»

Dal nord fino al centro d’Israele i razzi di Hezbollah continuano a provocare vittime e danni. Ieri sera a Shfaram, a est di Haifa, una donna di 50 anni, Safa Awwad, è stata uccisa dai missili dei terroristi libanesi. Nello stesso attacco una decina di persone sono rimaste ferite. Poco dopo a Ramat Gan, parte dell’area metropolitana di Tel Aviv, un edificio è stato distrutto. Questa mattina ancora razzi e allarmi al nord. A farne le spese, tra gli altri, il kibbutz Sasa, dove i razzi di Hezbollah hanno danneggiato la biblioteca, una parte del liceo e l’Auditorium (nell’immagine). «Per fortuna non ci sono state vittime o feriti. Mio marito Yehuda è lì, io sono rimasta a dormire fuori, ma tra poco torno», racconta a Pagine Ebraiche Angelica Edna Calò Livne.
Sasa è quasi deserto perché la maggior parte dei residenti è stata evacuata. Angelica e Yehuda, responsabile della sicurezza, sono tra i pochi rimasti nel kibbutz. «Tutti vorrebbero tornare, ma devono esserci le condizioni. Deve essere garantita la sicurezza. Si sta parlando di un accordo imminente con il Libano e Hezbollah. Israele ha dato le sue indicazioni e il punto di partenza è la demilitarizzazione della zona a sud del fiume Litani (prossima al confine con Israele, ndr). Si parla di una presenza nell’area delle forze americane, può essere una soluzione, ma per noi è difficile fidarci».
Non c’è rassegnazione nel tono di Calò Livne. «Quella mai. Non lasceremo il campo alla malvagità e alla prepotenza dei terroristi». Ma ammette di porsi molti interrogativi sul futuro. «Noi stiamo a Sasa e ci rimarremo. Però mi chiedo: inviterò qui ancora i miei nipotini?». Racconta di aver ascoltato la notte prima la testimonianza di un 35enne che il 7 ottobre era a Nahal Oz, kibbutz al confine con Gaza e tra i più colpiti dalle stragi di Hamas. «Ha ricordato come il 6 ottobre fosse tutto pronto per festeggiare il giorno seguente il 70esimo anniversario dalla fondazione del kibbutz. Ha sottolineato come molti siano venuti da fuori per festeggiare insieme Simchat Torah e poi l’anniversario. Una cosa comune in tutti i kibbutz». Sarà ancora possibile? La domanda rimane strozzata in gola. «Finché non sarà tutto smilitarizzato è difficile immaginarlo. Hezbollah pensava di compiere un altro 7 ottobre al nord. Vogliamo essere sicuri che questo non possa mai accadere».
Intanto il conflitto continua. «È una situazione insopportabile, ogni giorno ci sono morti civili o tra i nostri soldati e gli ostaggi sono ancora lì, prigionieri a Gaza. Il governo deve fare di tutto per riportarli a casa, non possono passare lì un altro inverno. Non sopravviveranno. Devono essere la nostra priorità».
Dal kibbutz Sasa Calò Livne si sposta di frequente per tenere le sue lezioni in sviluppo del pensiero umanistico attraverso le arti del palcoscenico. «Sono otto ore di lezioni frontali a cui non rinuncio. Voglio che i miei studenti, soprattutto ora, escano con un po’ di respiro. Li vedo e leggo la loro difficoltà nel sopportare questa guerra. Tutti hanno un fratello, un parente, un amico, ucciso, rapito o che rischia la vita nell’esercito». Lavorare con loro è una gratificazione e permette di guardare avanti. Anche i riconoscimenti dall’estero aiutano a sentirsi utili. «La prossima settimana andremo con Yehuda in Sicilia perché mi hanno conferito il premio Pino Puglisi, prete che ha combattuto contro la mafia. Con tutte le notizie contro Israele, è bello sapere che c’è chi riconosce i tuoi sforzi. Io mi sono sempre impegnata per la pace e, nonostante tutto, continuerò a farlo».

Daniel Reichel