SHIRIM – Dalla parte di Swann (Marcel Proust)

…Intorno a Combray c’erano queste due “parti” per le passeggiate, e opposte l’una all’altra così che, in effetti, da casa nostra non si usciva per la stessa porta se si voleva andare da una parte piuttosto che all’altra…siccome mio padre parlava sempre della parte di Méséglise come del più bel panorama di pianura che egli conoscesse e della parte di Guermantes come del tipico paesaggio fluviale, io attribuivo loro, concependole in tal modo come due entità, quella coesione, quell’unità che appartengono soltanto alle creazioni del nostro spirito; il minimo frammento di entrambe mi pareva prezioso e capace di manifestare la particolare eccellenza del tutto…Ma più delle distanze chilometriche, ciò che io interponevo tra loro era la distanza che correva fra le due parti del mio cervello in cui le pensavo, una di quelle distanze mentali che non allontanano soltanto, ma separano e situano in un’altra dimensione, E questa separatezza era resa ancora più assoluta dal fatto che la nostra abitudine di non andare mai verso le due “parti” in uno stesso giorno, nel corso di una sola passeggiata le incasellava, per così dire, l’una lontana dall’altra, l’una inconoscibile all’altra, nei vasi chiusi e non comunicanti di differenti pomeriggi.

L’immortale opera di Marcel Proust (1871-1922), À la recherche du temps perdu, si compone, com’è noto, di diversi volumi. Del primo, intitolato, Du côté de chez Swann, si è riportato un breve passaggio nella traduzione in italiano a cura di Giovanni Raboni. Il seguito sarà pubblicato, con commento, nel prossimo Shirim.
Chi abbia letto qualche pagina de La Recherche ricorderà come, non molto tempo dopo l’inizio della narrazione, il protagonista racconti della consuetudine di fare, in compagnia di suo padre, delle gradevoli passeggiate nei dintorni di Combray. Due vie amate si contendevano la decisione cruciale dell’itinerario: la via di Méséglise, che avrebbe incontrato l’abitazione di Swann, e la strada verso i Guermantes, sentiero che, agli occhi del giovane narratore, si stagliava come affascinante e oscuro.
La scelta di percorrere un cammino o l’altro era legata al tipo di passeggiata che si desiderava quel giorno condurre, breve o meno breve, al tempo atmosferico, alla necessità di rientrare presto per salutare una zia. Le due vie, pure diverse, possedevano un preciso incanto, attraversando, l’una, la dolce pianura fiorita, l’altra, il fiume. Ma, più ancora che l’eterogeneità dei luoghi, a incantare l’autore è l’inesorabilità della scelta insita nell’andare: questa predisponeva il cuore ed il passo a ciò che sarebbe venuto; sentieri incomunicabili, ai quali ci si apprestava sortendo da diversi usci, con diversi cuori.
E allora la bellezza del paesaggio, i segreti che questo celava e avrebbe rivelato, ogni volta, all’osservatore attento e in attesa, s’insinuavano negli svelti passi, incuranti delle minacce del tempo. Ogni passeggiata sarebbe stata una scoperta, un ritrovarsi, conservando in cuore il desiderio di tornare.
Fuggono così i pomeriggi, le domeniche d’infanzia.
La stradina, un tempo sterrata, si fece ambita, percorsa d’impietosi mezzi meccanici. La trafiggono ora recinti, fette di bosco scompaiono nel buio. Ma ovunque sia lasciata respirare si riscoprirà arcana e antica, quasi presenza ancestrale del luogo, e attenderà ancora le rugiade estive con nuovi occhi rigogliosi.

Shirim è a cura di Mariateresa Amabile, poetessa e docente di Diritti Antichi all’Università di Salerno