TORINO – Seicento anni e un patrimonio di cultura
Non è stata solo una giornata di dovuta celebrazione storica quella trascorsa ieri a Torino nel ricordo dei seicento anni di presenza ebraica in città. È stata soprattutto un’occasione rara di conoscenza, di comprensione, di analisi e per il mondo ebraico torinese di autoanalisi affacciata su un passato composito, denso di traguardi ma anche di contraddizioni. Il grande convegno organizzato dalla Comunità di Torino ha spaziato su tematiche vaste ed eterogenee: dalle ragioni storico-politiche dell’emigrazione ebraica da Chambery verso la futura capitale del Ducato Sabaudo alla Scuola talmudica saviglianese di Colon Trabotto, da un poemetto nuziale del XV secolo (una vera perla metaforica) alla letteratura “sommersa” piemontese del XVII secolo, dagli antichi manoscritti ebraici acquisiti dalla Biblioteca Nazionale Universitaria (il fondo Kahle, ricco di reperti dalla Ghenizà del Cairo) al canto sinagogale torinese come autentico melting pot delle tradizioni italiane, dal ruolo dei libri nelle famiglie ebraiche torinesi del XVI-XVIII secolo all’antigiudaismo e alle tendenze emancipazioniste del tardo secolo XVIII, da Marco Navarra antesignano settecentesco del giornalismo periodico alle collezioni torinesi di arte cerimoniale, dagli ebrei di Torino durante il fascismo agli scritti giovanili di Benvenuto Terracini, sino alla difficile realtà comunitaria della rinascita all’indomani della seconda guerra mondiale e della Shoah.
Una cavalcata intensa ed emozionante attraverso sei secoli, preceduta sabato sera da una serata di gala con lectio magistralis di Giovanni Levi nello splendido Palazzo Carignano e condotta con autentica maestria da studiosi di alto livello: Renata Segre, Jeffrey Woolf, Alberto Somekh, Alessandro Guetta, Corrado Martone, Francesco Spagnolo, Chiara Pilocane, Andrea Merlotti, Asher Salah, Baruch Lampronti, Anna Foa, Alberto Cavaglion, Emanuele D’Antonio e Daniele Trematore. Un percorso che certo ci ha notevolmente arricchiti di informazioni particolari, di notizie interessanti su personaggi noti e meno noti dell’ebraismo subalpino, di “chicche” e di pregevolezze tutte da gustare; un percorso che tuttavia ci lascia anche un senso di vuoto. Cosa mancava a una così ampia, varia e dotta rassegna del passato ebraico torinese? Forse il collante e la base strutturale di un itinerario storico-sociale di base, il continuum di una connessione con la concreta e quotidiana realtà degli ebrei piemontesi nel corso dei secoli. Se dopo questo interessantissimo convegno ci chiediamo come di fatto vivesse la comunità ebraica subalpina e quale sia stato lo sviluppo tangibile della sua esistenza, non siamo sicuri di avere davanti una risposta chiara.
Poco male, in fondo. La carenza su questo aspetto è un’ottima occasione per riprendere il tema e approfondirlo in futuro.
David Sorani