ROMA – Sionismo, ruolo delle donne, l’opinione dei Maestri
Voci a confronto sulla stampa ebraica italiana
Tra il 1871 e il 1938 furono attive in Italia circa 70 testate ebraiche, più o meno conosciute. Un numero emblematico di una produzione culturale non indifferente e oggi prospettiva privilegiata per inquadrare i fermenti di un’epoca, dall’illusione post-risorgimentale al baratro in arrivo sotto il fascismo. Da qui si è partiti nella seconda giornata di studio del convegno “La stampa ebraica italiana”, organizzato a Roma dalla Fondazione Beni Culturali Ebraici in Italia.
Tra gli altri Simonetta Della Seta, del Gruppo di Lavoro Memoriali e Musei dell’Ihra, ha affrontato il rapporto tra i primi gruppi sionistici italiani e la stampa ebraica, vista come strumento di comunicazione e al tempo stesso di elaborazione. L’idea sionista, la prima testata del sionismo italiano, nacque nel 1901. Il periodico servì «a dimostrare che si poteva essere in piena armonia ebrei italiani e sionisti, senza contraddizioni», ha chiarito Della Seta. Nessun dilemma identitario. D’altronde «il sionismo in Italia nacque per la necessità di sostenitore i fratelli ebrei dell’Europa orientale che avevano vissuto i pogrom».
Sempre oggi la storica Monica Miniati si è soffermata sulla rappresentazione delle donne e sulla loro presenza sulla stampa ebraica periodica. Una data spartiacque fu il 1879 quando, «con un certo ritardo», il Vessillo Israelitico aprì la porta a collaborazioni al femminile. La prima fu R.L., sigla poi associata a un nome: Regina Levi. Le donne attive nella stampa ebraica, ha spiegato Miniati, «agirono da sismografo, riportando i movimenti tellurici in atto nella famiglia e nella società ebraica».
Il ricordo di Giorgio Romano
La prima giornata dei lavori, in corso alla Biblioteca Nazionale dell’Ebraismo Italiano Tullia Zevi, è stata dedicata al centenario della Rassegna Mensile di Israel. In quel quadro lo storico e saggista Alberto Cavaglion ha ricordato la figura «un po’ dimenticata» di Giorgio Romano, che nel 1961 fu incaricato dal Messaggero di seguire il processo ad Adolf Eichmann a Gerusalemme. Romano scriveva allora da quasi trent’anni per la Rassegna. «Inizialmente in modo rapsodico e poi dal 1948 in modo fluviale», ha precisato Cavaglion, focalizzandosi sugli articoli di costume «e prevalentemente letterari» di cui è stato autore.
Rav Riccardo Di Segni, il rabbino capo di Roma, ha portato l’attenzione sulle riflessioni e discussioni rabbiniche avviate tra quelle pagine. Dibattiti che hanno a volte anticipato i tempi come quello innescato «già nel 1975» da rav Menachem Artom su aborto e fecondazione assistita. Mentre all’inizio l’interesse dei Maestri era rivolto «su temi come la dignità e il rispetto del forestiero», più di recente la Rassegna ha aperto anche altri fronti. Concentrandosi ad esempio «sui diritti degli animali e sulle regole della shechitah, la macellazione rituale».
a.s.
(In alto: la testata di un numero di Israel del 1932, dalla digital library del Cdec; in basso: Simonetta Della Seta)