ISRAELE – Da Mishmeret 101 al calcio, il paese unito per gli ostaggi
Non è più il tempo delle parole, ma quello dei fatti, dichiarano silenziosamente le donne di Mishmeret 101 (in ebraico, il turno 101). Da alcune settimane, questo movimento organizza presidi nei luoghi simbolo del potere in Israele: davanti alla residenza del premier Benjamin Netanyahu, alla Knesset, al quartier generale dell’esercito. Vestite di bianco, le manifestanti bloccano in silenzio gli accessi a questi spazi.
«Il nostro obiettivo è esercitare una forte pressione sul governo affinché firmi immediatamente un accordo per riportare a casa tutti i 101 rapiti», spiegano le organizzatrici della protesta. Non si tratta di un movimento politico, ribadiscono. «Siamo madri e famigliari dei rapiti e chiediamo a tutti, indipendentemente dall’appartenenza politica, di unirsi al nostro appello». È Rachel Goldberg-Polin, madre di Hersh, ucciso mentre era ostaggio a Gaza, a spiegare al Times of Israel il significato ebraico della protesta. «Il rabbino Nachman di Breslav parlava di “grido silenzioso” e insegnava che quando ci si rivolge a Dio dalle profondità della propria sofferenza è possibile urlare con una ‘voce calma e sommessa”». Mishmeret 101 richiama questa idea. «Per noi, non c’è niente di più importante in questo momento che stare seduti insieme alle famiglie degli ostaggi e urlare in silenzio per la loro liberazione», conclude Goldberg-Polin da Gerusalemme.
Dagli Stati Uniti l’appello è simile. Lo pronunciano i genitori di Omer Neutra dopo aver scoperto il destino del figlio, uno dei 101 ostaggi: Omer è stato ucciso il 7 ottobre e poi rapito. Per oltre un anno i Neutra hanno sperato fosse vivo. Nelle scorse 24 ore hanno evitato interviste, ma espresso il proprio dolore in un comunicato. E ribadito un punto: le parole ormai non sono di conforto. Quello che chiedono è una leadership in grado di raggiungere «risultati concreti da qui in avanti. Chiediamo al governo israeliano di collaborare con il presidente Joe Biden e il presidente eletto Donald Trump e di usare tutte le loro risorse e influenza per riportare a casa tutti i 101 ostaggi — vivi e morti — il prima possibile».
Un appello accolto a modo suo da Trump. Se gli ostaggi non saranno rilasciati entro il suo insediamento il 20 gennaio, ha dichiarato il presidente eletto, «ci sarà l’inferno in Medio Oriente» e «per i responsabili che hanno perpetrato queste atrocità contro l’umanità». Secondo il giornalista di Kan Amichai Stein, Trump, in caso la situazione ostaggi non si risolva, potrebbe bloccare completamente l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza. «Dopo la distruzione della maggior parte delle sue infrastrutture militari, gli aiuti umanitari sono l’elemento che consente a Hamas di mantenere il ruolo di governante civile», spiega Stein.
Anche il presidente Biden è tornato a parlare dei rapiti. Ha sia mandato un messaggio di cordoglio ai Neutra sia promesso di «lavorare senza sosta per riportare gli ostaggi a casa». Incontrando il mese scorso alla Casa Bianca alcune famiglie di rapiti, Biden ha dichiarato: «Non mi interessa se Trump si prenderà tutto il merito» per la liberazione dei rapiti, «purché tornino a casa».
La questione degli ostaggi è riuscita, almeno per una sera, a mettere in pausa una delle rivalità storiche e più accese del calcio israeliano. Domenica, al Teddy Stadium di Gerusalemme, si è disputato il derby tra Beitar e Hapoel, due squadre le cui tifoserie hanno dato vita in passato a scontri accesi. Sul piano politico, i tifosi del Beitar si identificano con la destra, mentre quelli dell’Hapoel con la sinistra. Questa volta le differenze sono state accantonate per un gesto di solidarietà: uno striscione commemorativo è stato esposto in memoria di Hersh Goldberg-Polin e Ori Danino. Il primo era un sostenitore dei rossi dell’Hapoel, il secondo dei gialloneri del Beitar. Entrambi sono stati rapiti al festival musicale Nova e uccisi uno a fianco all’altro dai terroristi in un tunnel di Gaza poco prima dell’arrivo dell’esercito israeliano.
«Squadre diverse, un solo popolo», si leggeva sullo striscione esposto nel settore occupato da “La Familia”, il gruppo ultras del Beitar spesso al centro delle cronache, ma in negativo. Non questa volta. Il loro gesto è stato applaudito dai tifosi rivali dell’Hapoel, arrivati al Teddy Stadium con una maglietta con stampato il volto di Hersh.
«Il nostro obiettivo è esercitare una forte pressione sul governo affinché firmi immediatamente un accordo per riportare a casa tutti i 101 rapiti», spiegano le organizzatrici della protesta. Non si tratta di un movimento politico, ribadiscono. «Siamo madri e famigliari dei rapiti e chiediamo a tutti, indipendentemente dall’appartenenza politica, di unirsi al nostro appello». È Rachel Goldberg-Polin, madre di Hersh, ucciso mentre era ostaggio a Gaza, a spiegare al Times of Israel il significato ebraico della protesta. «Il rabbino Nachman di Breslav parlava di “grido silenzioso” e insegnava che quando ci si rivolge a Dio dalle profondità della propria sofferenza è possibile urlare con una ‘voce calma e sommessa”». Mishmeret 101 richiama questa idea. «Per noi, non c’è niente di più importante in questo momento che stare seduti insieme alle famiglie degli ostaggi e urlare in silenzio per la loro liberazione», conclude Goldberg-Polin da Gerusalemme.
Dagli Stati Uniti l’appello è simile. Lo pronunciano i genitori di Omer Neutra dopo aver scoperto il destino del figlio, uno dei 101 ostaggi: Omer è stato ucciso il 7 ottobre e poi rapito. Per oltre un anno i Neutra hanno sperato fosse vivo. Nelle scorse 24 ore hanno evitato interviste, ma espresso il proprio dolore in un comunicato. E ribadito un punto: le parole ormai non sono di conforto. Quello che chiedono è una leadership in grado di raggiungere «risultati concreti da qui in avanti. Chiediamo al governo israeliano di collaborare con il presidente Joe Biden e il presidente eletto Donald Trump e di usare tutte le loro risorse e influenza per riportare a casa tutti i 101 ostaggi — vivi e morti — il prima possibile».
Un appello accolto a modo suo da Trump. Se gli ostaggi non saranno rilasciati entro il suo insediamento il 20 gennaio, ha dichiarato il presidente eletto, «ci sarà l’inferno in Medio Oriente» e «per i responsabili che hanno perpetrato queste atrocità contro l’umanità». Secondo il giornalista di Kan Amichai Stein, Trump, in caso la situazione ostaggi non si risolva, potrebbe bloccare completamente l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza. «Dopo la distruzione della maggior parte delle sue infrastrutture militari, gli aiuti umanitari sono l’elemento che consente a Hamas di mantenere il ruolo di governante civile», spiega Stein.
Anche il presidente Biden è tornato a parlare dei rapiti. Ha sia mandato un messaggio di cordoglio ai Neutra sia promesso di «lavorare senza sosta per riportare gli ostaggi a casa». Incontrando il mese scorso alla Casa Bianca alcune famiglie di rapiti, Biden ha dichiarato: «Non mi interessa se Trump si prenderà tutto il merito» per la liberazione dei rapiti, «purché tornino a casa».
La questione degli ostaggi è riuscita, almeno per una sera, a mettere in pausa una delle rivalità storiche e più accese del calcio israeliano. Domenica, al Teddy Stadium di Gerusalemme, si è disputato il derby tra Beitar e Hapoel, due squadre le cui tifoserie hanno dato vita in passato a scontri accesi. Sul piano politico, i tifosi del Beitar si identificano con la destra, mentre quelli dell’Hapoel con la sinistra. Questa volta le differenze sono state accantonate per un gesto di solidarietà: uno striscione commemorativo è stato esposto in memoria di Hersh Goldberg-Polin e Ori Danino. Il primo era un sostenitore dei rossi dell’Hapoel, il secondo dei gialloneri del Beitar. Entrambi sono stati rapiti al festival musicale Nova e uccisi uno a fianco all’altro dai terroristi in un tunnel di Gaza poco prima dell’arrivo dell’esercito israeliano.
«Squadre diverse, un solo popolo», si leggeva sullo striscione esposto nel settore occupato da “La Familia”, il gruppo ultras del Beitar spesso al centro delle cronache, ma in negativo. Non questa volta. Il loro gesto è stato applaudito dai tifosi rivali dell’Hapoel, arrivati al Teddy Stadium con una maglietta con stampato il volto di Hersh.