SCAFFALE – De Angelis e i valori dell’Occidente

Il 28 novembre del 2022 Massimo De Angelis organizzò, presso il Cenacolo di Tommaso Moro, un seminario dal titolo impegnativo: Esistono i valori dell’Occidente? L’idea nacque dalla comune esigenza di porre delle domande di fondo a partire della deflagrazione della guerra esplosa in Europa il 24 febbraio di quell’anno. L’incontro si rivelò molto ricco e stimolante, cosicché De Angelis pensò di dare ad esso un seguito, realizzando un volume collettaneo, alla cui elaborazione sono stati invitati non solo i relatori del seminario, ma anche altri illustri intellettuali di diverso orientamento e formazione chiamati a condividere le loro impressioni sull’impegnativo quesito e sulle possibili risposte.
È seguita quindi la pubblicazione di un volume di altro interesse, apparso per i tipi della Salomone Belforte di Livorno (casa editrice, com’è noto, specializzata soprattutto in temi attinenti all’ebraismo, ma nota anche, grazie alla sensibilità dell’editore Guido Guastalla, per il suo interesse verso questioni di fondo etiche ed esistenziali) nel luglio del 2023, intitolato I nodi dell’Occidente. Sovranismo individuale. Crisi delle democrazie. Guerra, a cura dello stesso De Angelis, con prefazione di Andrea Monda, che coordinò il seminario.
Le riflessioni del curatore, raccolte e sviluppate dagli altri autori, sono caratterizzate – come chiarito da De Angelis nella sua introduzione al volume – «non dalla smania di individuare ragioni e torti ma dallo sforzo di rinvenire le cause, di discernere e comprendere gli avvenimenti; sapendo che generalmente nella storia reale, a differenza di quella dei film, il male non sta tutto da una parte né il bene tutto dall’altra».
Ulteriore stimolo alla riflessione, aggiunge il curatore, è stata la recente pubblicazione di un nuovo libro di Francis Fukuyama, apparso nel 2022, intitolato Il liberalismo e i suoi oppositori. Un’opera, questa di Fukuyama, apparsa trent’anni dopo il suo famoso libro La fine della storia e l’ultimo uomo, scritto a seguito della dissoluzione dell’Urss considerata la prova inconfutabile del definitivo e irreversibile trionfo, in tutto il mondo, del sistema occidentale – liberale, democratico e capitalista -, e del definito crollo della stessa idea di una possibile esistenza di un diverso modello totalitario e autocratico. Se era imploso, senza nessun intervento esterno, perfino il colosso sovietico, come avrebbero potuto resistere o replicarsi le sue fragili e deboli imitazioni, sparse nel mondo?
Finita per sempre la dialettica Oriente totalitario – Occidente democratico, asseriva Fukuyama, si sarebbe entrati in una nuova era di universale democrazia, libertà e progresso. Le contraddizioni della storia si sarebbero risolte per sempre, anzi, la stessa storia – intesa come conflitto, dialettica – sarebbe ‘finita’.
La guerra di Ucraina, ovviamente, ha costretto il geniale filosofo a rivedere le sue profezie. Ma certamente esse avevano cominciato a vacillare ben prima, probabilmente già subito dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Non solo il modello liberaldemocratico non si era espanso in tutto il mondo, ma anche all’interno del cosiddetto ‘Occidente’ era entrato in profonda crisi, vedendo, giorno dopo giorno, erodere i suoi valori di fondo. Le parole d’ordine – libertà, democrazia, progresso – non sarebbero state cancellate, ma avrebbero profondamente cambiato significato. Il populismo – concetto non nuovo, ma ingigantitosi con forza e rapidità impressionante – avrebbe riproposto in modo drammatico, nella nuova era digitale post-moderna – le considerazioni di Platone sulla intrinseca tendenza della democrazia a degenerare in tirannide, o in ‘oclocrazia’, potere della massa, delle folle indistinte. Non è stata certo la democrazia – come, molto erroneamente, è stato detto, da autorevole fonte – a condannare Barabba.
D’altra parte, già nel saggio intitolato Occidente, pubblicato nelle sue Riflessioni sull’impolitico, Roberto Esposito aveva notato che la fine del comunismo non aveva rappresentato alcuna forma di ‘novità’ sul piano ideologico, confermando ciò che era già acquisito, nell’opinione pubblica internazionale, come un mero dato di fatto, ossia l’idea del cosiddetto ‘Occidente’ come sinonimo di perfezione, di unico modello proponibile e perseguibile. Un sistema che può e deve essere continuamente migliorato, ma giammai sostituito. Solo l’Occidente può perfezionare l’Occidente, e le anche violente e distruttive critiche alla democrazia non sarebbero altro, in definitiva, che una dimostrazione della sua solidità e salute.
Il libro raccoglie, oltre a quelle del curatore e del prefatore, le considerazioni di Sergio Belardinelli, Raimondo Cubeddu, Francesca Izzo, Eugenio Mazzarella, Andrea Monda, Rocco Pezzimenti, Vittorio Possenti, Paolo Sorbi, Mario Tronti, Giuseppe Vacca, Marcello Veneziani. Impossibile, ovviamente, sintetizzare i contenuti dei loro testi – tutti stimolanti, anche le numerose volte in cui non sono con essi d’accordo -, così come anche dire se, dall’insieme del volume, esca una parola di ottimismo sul futuro dell’Occidente e dei suoi famosi ‘valori’. Posso solo dire che mi sembra che nessuno (e sarebbe stato strano il contrario) difenda l’Occidente per quello che ‘è’, o che ‘appare’, e tutti, in vario modo, auspichino cambiamenti e metamorfosi più o meno radicali, e più o meno possibili. Il quadro di fondo, da questo punto di vista, non mi pare roseo. D’altra parte, le idee degli autori sono diverse, a volte anche molto divergenti, e sarebbe impensabile interpretare il volume, nel suo insieme, come una sorta di “programma” sul “che fare”.
Personalmente, confesso di avere avuto sempre una grande diffidenza – se non antipatia – verso il concetto di Occidente, così come verso i suoi ‘valori’ e le sue ‘radici’. Si parla tanto di “radici ebraico-cristiane” dell’Europa, come un qualcosa di bello e nobile, da custodire e valorizzare. Ma chi autorizza a dire che la schiavitù, il colonialismo, il razzismo, la misoginia, l’omofobia, l’antisemitismo, la Shoah non facciano parte anch’essi dei “valori” dell’Occidente? Si possono forse derubricare questi fenomeni e marginali “incidenti di percorso”? Perché alle parole ‘valori’ e ‘radici’ si tende sempre a dare automaticamente una denotazione positiva?
Sono quindi pessimista non solo sul futuro dell’Occidente, ma anche sul suo presente e passato.
Come ho scritto, il libro è stato pubblicato nel luglio del 2023. Solo tre mesi dopo, la storia si sarebbe nuovamente ‘spezzata’, con un abominio che nessuno avrebbe mai potuto immaginare. E tutti i mostri dell’Occidente sarebbero usciti di nuovo dal vaso di Pandòra. E il mio pessimismo, già di considerevoli dimensioni, si è moltiplicato per mille.

Francesco Lucrezi