Il mare, il pallone e la bici per superare il trauma

C’è chi gioca a calcio, chi inforca una bicicletta, chi naviga nel mare aperto. Declinata anche attraverso lo sport, la parola “solidarietà” resta un pilastro della società israeliana post-7 ottobre. In questo ambito spiccano alcune ong attente alle fasce più deboli della società; gruppi che accolgono varie tipologie di soggetti traumatizzati dal pogrom di Hamas: feriti e sopravvissuti bisognosi di esercizio fisico ma anche sfollati delle comunità del nord e del sud costretti a lasciare le loro case e ancora immersi in un presente incerto.
Sul lungomare di Yafo si trova ad esempio il quartier generale di HaGal Sheli (“La mia onda”), fondata nel 2013 da Yaron Waksman e Omer Tulchinsky per offrire surf therapy a giovani ai margini della società. Alcuni di loro sono usciti dal sistema scolastico anzitempo o sono in procinto di farlo, altri hanno precedenti penali. Cavalcare le onde diventa per tutti la metafora di una sfida più ampia: riacquisire la fiducia in se stessi. In poco più di dieci anni di attività ne hanno beneficiato circa 10mila ragazzi. Il modello proposto ha talmente ben funzionato che oggi HaGal Sheli può contare su dieci centri in tutto il paese ed è una riconosciuta eccellenza sociale. Dopo il 7 ottobre la “terapia del surf” è stata provata da oltre un migliaio di persone toccate in modo diretto o indiretto dagli eventi, con diversi livelli di trauma (alcuni, rende noto la ong, sono ex ostaggi di Hamas). HaGal Sheli si è posta l’obiettivo di fargli ritrovare «la gioia perduta», con progetti che mettono al centro la fisicità delle esperienze.

Ha il mare come orizzonte anche Mifrasim (“Vele”), ong con sede a Herzliya con in dotazione una grande barca a vela. Mifrasim è stata una delle prime organizzazioni ad attivarsi dopo il 7 ottobre, mettendo a disposizioni i propri tutor ed esperti tanto che circa 250 individui scampati al massacro sono saliti a bordo del veliero nel solo mese di ottobre. Tra le categorie cui si rivolge Mifrasim in tempi “normali” ci sono giovani a rischio e delle periferie, persone con autismo o che soffrono di disturbo da stress post-traumatico (Ptsd). Lo slogan è per tutti “Wind of change”, come la celebre canzone degli Scorpions. Opera invece sul rettangolo verde del campo di calcio Equalizer, di Yaniv Kusevitzky. Attiva da 15 anni, la ong propone squadre con calciatori ebrei e arabi di tutte le provenienze. Diecimila ragazzi sono oggi coinvolti. E tra loro ci sono numerosi sfollati. Inseguire un pallone li ha fatti uscire dal buio delle camere da letto in cui alcuni di loro si erano rintanati per lo shock subito. Nello stesso solco opera il progetto Mifalot (“Imprese”), lanciato nel 1997 dall’Hapoel Tel Aviv e ancora in piedi con una rete di iniziative all’estero che vanno dalla Germania al continente africano. “Coesistenza” è la parola chiave anche in questo momento critico, con 300 programmi e 20mila fra bambini e giovani che indossano la maglia della ong. Un modello per tanti, anche per l’italianissimo Roma Club Gerusalemme che da due decenni opera sulla stessa linea.
È la cifra inoltre del progetto Bartali – Youth in Movement, lanciato dall’ex ciclista Ran Margaliot e con sede nel villaggio dei giovani di Ben Shemen tra Tel Aviv e Gerusalemme in cui studiò tra gli altri Shimon Peres.
Nel nome del ciclista fiorentino, “Giusto tra le nazioni” per l’aiuto agli ebrei perseguitati dal nazifascismo, pedalano insieme ragazzi sfollati da kibbutz e moshav e ragazzi “difficili” di villaggi arabi. In sella a una bici imparano a essere una squadra, guidati anche da un maestro d’eccellenza: Guy Niv, il primo ciclista israeliano a correre e concludere un Tour de France.

Adam Smulevich