ROMA – Tempio Maggiore, festeggiati i 120 anni con Mattarella

Dopo i secoli di costrizione nel ghetto, con la conquista dei diritti civili e delle libertà per gli ebrei romani si presentò l’occasione di costruire in quella stessa area una grande sinagoga, a simboleggiare la svolta epocale dell’emancipazione. La sinagoga avrebbe dovuto «innalzarsi fieramente fra le costruzioni della nuova città» ed avere «carattere monumentale e severo», si esplicitava nel concorso per la sua edificazione. Criteri assolti dal Tempio Maggiore di cui sono stati oggi festeggiati i 120 anni in compagnia del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ospite d’onore di una giornata non soltanto rievocativa delle gioie e dei dolori sedimentatisi in questi spazi dal 1904 a oggi, ma orientata anche alla trasmissione di messaggi di vita e continuità. Presenti tra gli altri la presidente Ucei Noemi Di Segni, il presidente del Senato Ignazio La Russa, numerosi rappresentanti del governo e delle istituzioni. L’ingresso di Mattarella in sinagoga è stato accompagnato dal canto dei bambini e ulteriori interventi canori hanno celebrato la sua visita.

«Resistere, sperare e costruire»

«Non è la prima volta che il presidente Mattarella ci testimonia la sua vicinanza», ha esordito il presidente della Comunità ebraica romana Victor Fadlun nel suo intervento, ricordando la sua partecipazione proprio qui, nel Tempio Maggiore, «a quarant’anni dall’attentato del commando palestinese in cui venne ucciso il piccolo Stefano Gaj Taché» e in conferma allora «di un percorso coerente, iniziato dal Capo dello Stato dal giorno del suo insediamento nel febbraio 2015, quando evocò “il prezzo dell’odio e dell’intolleranza” e citò un nome, uno solo». Quello per l’appunto del piccolo Stefano, da lui definito «il nostro bambino, un bambino italiano». Il Tempio Maggiore oggi gremito di autorità «è il simbolo dell’emancipazione degli ebrei di Roma e della riconquista dei nostri diritti, e doveri, di cittadini», ha dichiarato ancora Fadlun. Ed è il luogo in cui «ci siamo riuniti per riaffermare la nostra volontà di esistere e resistere, la nostra resilienza durante le leggi razziali, la persecuzione nazifascista e l’occupazione». Anche oggi, come già in passato, qui ci si riunisce «tutte le volte che Israele è stato attaccato e si è dovuto difendere per non soccombere a chi voleva spazzarlo via dalle cartine geografiche, insieme a tutti gli ebrei». Qui, ha aggiunto Fadlun, «si esprime il nostro amore per la vita».
È stata poi la volta del rabbino capo Riccardo Di Segni, secondo il quale «la piccola grande storia della nostra Comunità e del Tempio che la rappresenta può dare un contributo positivo» davanti ad «altre forme di turbolenze sanguinose» con cui è oggi necessario fare i conti dopo quelle del passato. Da questa storia si ricava infatti «un monito contro le derive violente, le espulsioni, le emarginazioni e la privazione dei diritti». Si apprende inoltre da essa, ha scandito il rav, l’esempio fornito da una Comunità in grado di «rimanere fedele alle sue tradizioni e al contempo integrarsi virtuosamente, rappresentando una ricchezza per Roma e l’Italia». Resistere, sperare e costruire, i tre verbi evocati dal rav. «La storia di questo edificio e della comunità serve a dimostrare che ce la possiamo fare, che non c’è limite alla misericordia divina ma che c’è da parte nostra il dovere di comportarci bene», l’ulteriore messaggio del rav nel citare la Bibbia e in particolare il punto in cui si legge che «la terra si era corrotta e si era riempita di violenza» (Genesi 6:11 e 13). È un’evocazione sinistra perché «la parola violenza traduce il termine ebraico biblico che è hamàs, si proprio hamàs». Da qui l’ulteriore indicazione del rav sul fatto che «la sopravvivenza della nostra società» abbia le proprie radici nella convivenza pacifica di cittadini «che rispettano le leggi e che condividono il dovere di costruire insieme un mondo migliore». Un obbligo, ha incalzato, «della quotidianità».

I messaggi dei rabbini capo d’Israele

La cerimonia, condotta dal giornalista Maurizio Molinari, è proseguita con la trasmissione dei messaggi di saluto inviati da rav Kalman Bar e rav David Yosef, rispettivamente rabbino capo askhenazita e sefardita d’Israele. Amedeo Spagnoletto, il direttore del Meis, ha poi spiegato che «la vita del Tempio è scandita da momenti di rappresentanza come questo che celebriamo oggi, ma è anche fatta di una quotidianità dove la formalità cede il fianco alla vivace, a volte anche troppo, partecipazione dei frequentatori che è il sale di ogni ambiente di preghiera ebraico». Compito del Tempio è però anche «quello di accogliere le scuole e i visitatori che vengono a centinaia di migliaia, per conoscere gli ebrei di Roma e la loro storia bimillenaria, ma anche i sempre più numerosi turisti da tutto il mondo che scelgono la nostra città per trascorre uno shabbat di vacanza, favoriti dalla ricchezza di servizi e strutture ebraiche». Qui, ha aggiunto Spagnoletto, «ci si sforza di vivere la dimensione più calda della collettività d’Israele e romana». Anche a Roma «ci sono stati periodi in cui la sopravvivenza era quasi impossibile», ha riconosciuto rav Bar da Israele, ma il Tempio Maggiore rappresenta comunque «il simbolo e l’esempio del popolo di Israele che vive e resiste». Così rav Yosef: «Voglio benedirvi affinché la benedizione accompagni ogni opera delle vostre mani. Possiate continuare a guidare con fierezza l’ebraismo di Roma e, con l’aiuto di Dio, avvicinare il cuore del popolo d’Israele al nostro Padre nei cieli, unendo i cuori tra il popolo d’Israele e le nazioni del mondo».

a.s.