TORINO – Tutte le vite salvate da Suor Giuseppina Demuro

Un luogo dal valore simbolico forte per una cerimonia piena di emozione: nel complesso carcerario di Torino noto come “Le Nuove”, edificato a fine Ottocento e in uso fino agli anni Ottanta del Novecento, è stata consegnata da Yad Vashem ai discendenti di Suor Giuseppina Demuro la medaglia di Giusta tra le Nazioni. Nel braccio femminile del carcere Simone Pezzot, il presidente di “Nessun uomo è un’isola”, l’associazione che si occupa del recupero, del percorso museale e dell’apertura delle carceri alla cittadinanza, ha introdotto la cerimonia ricordando la forza e il valore di Suor Giuseppina e raccontando la storia del luogo. Un concetto che è stato ribadito da Calogero Modica, direttore del Museo Le Nuove, che ha aggiunto, commosso: «Mi pare un sogno». Michela Favaro, vicesindaca della città, ha ricordato di avere partecipato nelle scorse settimane a una doppia cerimonia di conferimento del diploma di Giusto tra le Nazioni, a riprova del valore di un territorio in cui in tanti hanno saputo cogliere la possibilità di agire pensando a ciò che era giusto, in tempi in cui era più facile volgere lo sguardo altrove. Le ha fatto eco Domenico Ravetti, vicepresidente del Consiglio Regionale del Piemonte: «Voglio prendere spunto da una lettura che certamente avrete anche voi avete fatto recentemente: mi riferisco a Oltre il male, il dialogo fra Edit Bruck e Andrea Riccardi. Sono pagine che parlano di luci, nel momento peggiore dell’umanità, quando le tenebre erano riuscite ad avanzare. Raccontando di quel periodo Edith Bruck riesce a darci comunque il senso di quanto alcuni momenti di luce siano stati significativi. Dall’azione di un soldato tedesco che con il suo fucile la obbliga violentemente a spostarsi nella fila che porta al lavoro, invece che alle camere a gas, a un altro soldato che in segno di spregio le getta addosso una gavetta, in cui però è rimasto un fondo di marmellata, o quando per la prima volta qualcuno, un cuoco in una cucina a Dachau, le chiede il suo nome, non il suo numero. Sono piccole cose che indicano però come ci sia sempre la possibilità di avere coraggio, e quanta luce può esserci nel buio. Oggi in Italia non c’è il buio, certo, ma ci sono troppi spazi troppo scuri, e il buio non è lontano da noi. Dobbiamo tenere viva la luce della speranza». Anche il sindaco e il presidente del consiglio comunale di Lanusei, paese d’origine di Suor Giuseppina Demuro, hanno inviato un saluto, letto da Pezzot, per ribadire come il riconoscimento di Giusta tra le Nazioni rappresenti non solo un tributo all’impegno disinteressato ma soprattutto un monito per le generazioni future, un invito a preservare e difendere i valori di umanità e di giustizia che l’hanno guidata. Dario Disegni, presidente della Comunità Ebraica di Torino, ha ricordato anche il fondatore dell’associazione “Nessun uomo è un’isola”, Felice Tagliente: «Ha fatto tantissimo per trasformare quello che era un luogo di segregazione e di dolore in un luogo di memoria, di educazione e di impegno civile». Ha poi aggiunto: «Questo di oggi è un riconoscimento importante, arrivato dopo un impegno di anni da parte di molti. Voglio ringraziare in particolare Sergio Della Pergola, che nel percorso di analisi delle vicende ha rappresentato il caso presso Yad Vashem, e i fratelli e i figli di coloro che sono stati salvati. E i familiari di Suor Giuseppina Demuro, arrivati apposta dalla Sardegna. È stata un personaggio notevolissimo che ha avuto un ruolo importante nella nostra città, un prezioso esempio di altissimo valore civile che deve illuminarci nei tempi bui che stiamo vivendo». Un concetto ribadito da Ophir Eden, rappresentante dell’Ambasciata di Israele: «La Shoah è una ferita profonda nella storia del popolo ebraico e di tutta l’umanità. Ci sono però stati uomini e donne che hanno avuto il coraggio di opporsi all’odio e hanno deciso di agire contro la realtà terribile che vivevano per salvare le vite degli ebrei. Per questo Israele ha il dovere morale di non ricordare solo le vittime ma anche i Giusti che, vi ricordo, sono persone che hanno salvato vite a rischio della propria e senza ricavarne alcun compenso. Oggi siamo qui per Suor Giuseppina Demuro, che con il suo coraggio ha salvato molte vite umane, e si aggiunge a oltre 700 Giusti italiani già riconosciuti dallo Yad Vashem. Come tutti i Giusti ci ha mostrato che di fronte al male e all’indifferenza si può non restare in silenzio: ciascuno di noi può fare la differenza, ogni esempio è una luce che guida il nostro cammino e ci ricorda l’importanza della solidarietà e del coraggio». Sono seguiti i ricordi dei salvati, portati da Guido Foa, figlio di Massimo, che all’epoca aveva pochi mesi e venne fatto uscire dalle carceri nascosto tra le lenzuola sporche, lasciando invece in cella i genitori e il nonno. Barbara Napolitano, sorella di Massimo, ha ricordato come far uscire lui il bambino dalle Nuove abbia salvato anche la vita di sua madre: Elena Recanati sopravvisse alla deportazione grazie alla sua straordinaria forza di volontà e al desiderio di ritrovare suo figlio. Se fossero arrivati ad Auschwitz insieme li avrebbero subito destinati alle camere a gas. Il padre e il nonno di Massimo anche loro imprigionati alle Nuove in seguito a una soffiata, non si salvarono. Simile fu la vicenda di Mario Zargani ed Eugenia Tedeschi, catturati nel biellese: portati nel carcere vengono destinati, grazie all’intervento di Suor Giuseppina, al settore dei reati comuni, e non in quello riservato agli ebrei e ai detenuti politici antifascisti. Il passaggio successivo fu dichiarare che erano gravemente ammalati e farli ricoverare in ospedale, da dove poi fuggirono. Il nipote di Mario Zargani ha ricordato come suo padre parlasse spesso di Suor Giuseppina, ricordandone l’etica fortissima unita a una capacità organizzativa impressionante: era riuscita a tenere in mano la regia del salvataggio di tanti, con la collaborazione di collaboratori compiacenti tra polizia e gerarchie ecclesiastiche riuscendo a opporsi alla macchina pur incredibilmente organizzata dello sterminio. È poi intervenuta Adriana Cantore, a ricordare quando, nel 1944, a 13 anni, si trovava in una cella proprio sopra il luogo in cui stava parlando: catturata in Val di Susa in seguito all’uccisione di due ufficiali tedeschi da parte dei partigiani, assistette ai maltrattamenti nei confronti della madre e della nonna, arrestate con lei, ma fu salvata da Suor Giuseppina. Maria Di Marco, che insieme a Felice Tagliente ha portato avanti le ricerche su Suor Giuseppina, ha ricordato la sua storia di suora nata a Lanusei nel 1902 e arrivata giovanissima a Torino dove prenderà i voti e si unirà alle consorelle che operano nelle carceri e con gli anziani. A fine cerimonia hanno parlato i familiari Alfonso Iozzo e poi Adriana Demuro: «Per noi è sempre stata e resta zia Rosina: aveva preso il nome di Giuseppina con i voti. Mi sono chiesta quale fosse il fascino di questa donna minuscola e fortissima e mi sono convinta che quando noi subiamo il fascino di una persona è perché vi troviamo delle parti di noi che avevamo rimosso e in qualche maniera ci vengono restituite. Abbiamo la possibilità di reintegrare parti di noi, se prestassimo attenzione a tutte le relazioni importanti della nostra vita in ognuna troveremmo la quintessenza della nostra personalità».