LIBRI – La dedica o della cugina ritrovata

Se lavorare sui documenti e ricostruire l’andamento di vite scomparse le è sempre sembrato un dovere, un modo per non far precipitare nell’oblio «persone che avrebbero voluto vivere e che non avevano potuto far sentire le loro voci», ora le cose sono diverse. Da una dedica su un memoriale online può infatti prendere forma «un progetto gioioso, volto al futuro, un’eventualità imprevista che può ancora avere un impatto sulle nostre vite». L’eventualità imprevista di cui scrive Miriam Rebhun nel libro La dedica, edito da Giuntina, è la scoperta di una cugina di nome Daphna di cui nulla sapeva fino a quando, su un sito che raccoglie le biografie dei caduti nelle guerre di Israele, alla voce “Kurt Emanuel Rebhun” appare un messaggio: «Sono Daphna, ho settantasei anni e sono tua figlia».

Se lavorare sui documenti e ricostruire l’andamento di vite scomparse le è sempre sembrato un dovere, un modo per non far precipitare nell’oblio «persone che avrebbero voluto vivere e che non avevano potuto far sentire le loro voci», ora le cose sono diverse.
Da una dedica su un memoriale online può infatti prendere forma «un progetto gioioso, volto al futuro, un’eventualità imprevista che può ancora avere un impatto sulle nostre vite».
L’eventualità imprevista di cui scrive Miriam Rebhun nel libro La dedica, edito da Giuntina, è la scoperta di una cugina di nome Daphna di cui nulla sapeva fino a quando, su un sito che raccoglie le biografie dei caduti nelle guerre di Israele, alla voce “Kurt Emanuel Rebhun” appare un messaggio: «Sono Daphna, ho settantasei anni e sono tua figlia».
È un’emozione spiazzante e l’inizio per l’autrice di un viaggio per colmare vuoti che non si potevano neanche immaginare. Kurt detto “Gughi” altri non era che l’amato fratello gemello di Heinz, il padre di Miriam. Insieme erano emigrati da Berlino fino alle coste dell’allora Palestina mandataria, il futuro Stato d’Israele. Scamparono alla Shoah ma caddero entrambi nel 1948, a distanza di pochi mesi, per mano araba. Una ferita che ha inevitabilmente segnato la vita di Miriam, cresciuta con la sola madre a Napoli.
La dedica è la dimostrazione di come la vita non smetta mai di sorprenderci. Ma è anche l’assolvimento dell’eterno imperativo ebraico del ricordo. «Un obbligo per gli ebrei», sottolinea Rebhun, testimone attiva nelle scuole e presidente della sezione napoletana dell’Adei Wizo. Miriam, Daphna e il resto della famiglia l’hanno onorato prima in Israele, «il paese che Heinz e Gughi hanno contribuito a creare». E poi a Berlino, «una città che è un testo di storia a cielo aperto, dove si cammina tra le pietre d’inciampo e, passata la porta di Brandeburgo, ci si siede su uno dei duemilasettecento parallelepipedi di cemento grigio, nel labirinto che l’architetto Peter Eisenman ha ideato come segno indelebile di ciò che è accaduto».