TORINO/1 – 200 candeline per la scuola ebraica

Una chitarra e il coro composto da decine di bambini: così si è aperta la serata dedicata ai 200 anni della scuola ebraica di Torino. Nel centro sociale della comunità, gremito come non mai, in centinaia arrivati anche da molto lontano si sono ritrovati per festeggiare un’istituzione nel cuore di tantissimi torinesi. Giulio Disegni, nel suo ruolo di presidente dell’Asset, l’Associazione Ex Allievi della Scuola Ebraica di Torino, ha introdotto la serata ricordando come arrivare a 200 anni di continuità sia un traguardo notevole per un’istituzione scolastica: «Un momento importante anche per la vita della città. Già nel 1600 esisteva un Talmud Torah, ma è nel 1823 che si arriva all’istituzione di una scuola “laica”, quel collegio israelitico che avrebbe poi preso il nome di “Colonna e Finzi” dai due benefattori che la finanziarono. Emanuele Colonna e Samuel Vita Finzi ritenevano che ogni bambino avesse il diritto di accedere a una istruzione non religiosa, ed è notevole anche che la scuola ebraica fin da subito ebbe classi miste, mentre in città tutte le scuole avevano spazi rigorosamente separati». Disegni ha poi sottolineato che da tempo la scuola è aperta e frequentata da allievi di ogni confessione religiosa: «È un luogo di integrazione, cultura e anche di resilienza, e ha un ruolo centrale nella comunità. La nostra tradizione educativa ha plasmato generazioni in una vicenda se non unica certamente rara». Il patrocinio del Comune e della Regione hanno aggiunto ufficialità a un’occasione che è stata soprattutto una grande festa.
La dirigente scolastica, Irene Cottura, è intervenuta ricordando ai presenti le radici profonde che la scuola ebraica ha nella cultura e nella tradizione della città: «È un grande onore per me essere qui a celebrare 200 anni di cultura, due secoli in cui sono stati ininterrottamente trasmessi grandissimi valori, e un pensiero va non solo ai tantissimi bambini che sono qui ora ma anche a tutti coloro che sono transitati in questi locali. Voglio ringraziare anche i docenti, pronti a mettersi in gioco ogni giorno e a prodigarsi per educare gli studenti alla riflessione, allo spirito critico e all’amore per la cultura e i genitori per quella che è una fondamentale alleanza educativa. Dalla scuola abbiamo il privilegio di poter guardare non solo al passato con riconoscenza ma anche al futuro con speranza e ottimismo, sapendo che questa scuola resta un punto di riferimento importante per la comunità e per tutta la città».
L’idea che il compleanno della scuola sia una sfida e un’opportunità per tutti è stata ribadita da Dario Disegni, presidente della comunità ma anche ex allievo: «Nelle scorse settimane abbiamo ricordato i 600 anni di presenza ebraica nella città e nella regione con una serata importante nelle sale del Museo del Risorgimento e poi con un convegno dedicato alla storia passata mentre l’occasione di oggi, un anniversario di non minore importanza, racconta del presente, e di sogni e aspirazioni per il futuro di una comunità viva che nonostante piccoli numeri, è molto presente in città con quello che è una vera e propria palestra di dialogo».
Anche il rabbino capo della città, Ariel Finzi, è stato allievo della scuola, e con molta emozione ha raccontato come si sia trattato di una esperienza molto formativa, e ha ricordato alcune delle sue insegnanti, da quelle che avevano la capacità di mantenere la disciplina senza mai bisogno di alzare la voce a quelle note per la loro severità. La storia di Jehudà, ha poi ricordato, è di esempio: le sue caratteristiche, necessarie a guidare il popolo ebraico, sono ancora fondamentali per l’ebraismo tutto, e centrali in una scuola che ha mostrato di sapersi migliorare e adattare ai tempi, senza perdere le proprie origini. Nella scuola, ha ricordato, le innovazioni sono spesso state inserite in anticipo sui tempi, recuperando tecniche e materiali che allora non erano facilmente reperibili, portando a risultati di eccellenza senza lasciare nessuno indietro, la parola d’ordine della scuola.
Dopo il messaggio di saluto inviato dall’assessore alla Scuola della Comunità, Franca Mortara, che ha ricordato il ruolo determinante della scuola nella formazione delle coscienze dei giovani ebrei torinesi, ha preso la parola l’assessore all’Istruzione della città, Carlotta Salerno: «Ero qui per Sukkot, e non era la prima volta che venivo a trovarvi: è diventato un luogo familiare e qui mi sento “a casa”. Mi trovo spesso a ribadire che il livello di civiltà di un paese, e di una comunità, si misura da come tratta la scuola, e qui è evidente che la scuola è al centro delle azioni di una comunità forte, è una scuola amata, in cui viene veicolato un messaggio di pace, fratellanza e umanità».
Fabrizio Ricca, consigliere regionale, ha citato un passaggio dei discorsi fatti in occasione dell’anniversario della scuola ebraica di Roma: «L’idea che non solo il mondo esiste grazie ai bambini ma che il mondo esiste perché loro possano studiare mi ha molto colpito, e la scuola ebraica di Torino è una istituzione che unisce una identità forte a assoluta eccellenza, un unicum nella nostra regione: il fatto poi che punti sull’inclusività come proprio punto di forza mi rende particolarmente onorato di poter essere con voi in questa occasione».
Per Tecla Riverso, dirigente dell’Ufficio scolastico regionale, «abbiamo molto da imparare da questa scuola».
Il Direttore dell’Archivio di Stato di Torino, Stefano Benedetto, ha ricordato «il bombardamento del 1942 che ha mandato letteralmente in fumo tutta la documentazione della comunità, e quindi della scuola, ma nell’Archivio di stato e nell’archivio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sono conservati numerosi documenti che permettono di raccontare comunque il passato di questa istituzione. Abbiamo comunque la possibilità di continuare a fare ricerca e di ricostruirne la storia e le storie… che forse verranno raccontate fra duecento anni, per una prossima festa di compleanno!» A seguire il convegno, con gli interventi di Daniele Trematore, Chiara Pilocane, Baruch Lampronti e rav Luciano Caro, che si è trasformato in una grande, partecipatissima festa.