TORINO/2 – Un passato glorioso: quattro ricordi della scuola ebraica

Dopo una prima parte di saluti e un altro intervento del coro composto dagli allievi, la serata dedicata ai primi duecento anni della scuola ebraica di Torino è proseguita con un convegno, che si è svolta con un piacevole brusio di sottofondo, fra chiacchiere e qualche risata dei piccoli.
Quattro le relazioni: con Ebrei e istruzione in Piemonte tra 800 e ‘900, Daniele Trematore ha ricordato come ci siano stati due momenti di svolta: «Già dal 1662 la Confraternita Talmud Torah forniva servizi educativi a Vercelli e Asti, oltre che a Torino, ben prima che nel capoluogo nascesse il collegio israelitico, poi finanziato da Colonna e Finzi. Nel 1848 la trasformazione è stata radicale, e la piena parificazione dei diritti civili e poi politici, compreso il diritto all’istruzione, ha portato alla possibilità di frequentare le scuole di ogni ordine e grado, con il risultato che le scuole ebraiche fuori Torino si svuotarono, sia per l’urbanizzazione ebraica sia per la possibilità di accedere a tutte le scuole. Anche la Colonna e Finzi si trasformò e fu aperta e tutti e a metà Ottocento i licei e le università cittadine avevano molti studenti ebrei. Un’altra cesura nel rapporto tra ebrei a istruzione avviene nel 1938, ma alla ripresa delle attività il declino delle scuole si interrompe e la scuola ebraica diventa luogo di espressione e maturazione di una vera e propria consapevolezza politica, come mostrato dall’esempio di Emanuele Artom, uno degli insegnanti più giovani della scuola».
La storica Chiara Pilocane, che lo ha per molti anni diretto, è intervenuta su Il Collegio Colonna e Finzi nelle carte dell’Archivio Ebraico Terracini e mostrando alcuni documenti, spiegando come le fonti necessarie a ricostruire la storia della scuola siano dislocate in diverse istituzioni: «Il nostro archivio è purtroppo andato perduto nel ’42, quando la sinagoga è stata bombardata, ma grazie a diversi fondi di famiglie della comunità e lasciti provenienti da altre comunità custodiamo ora un insieme di fonti che hanno permesso di ricostruire quello che non possiamo recuperare dell’archivio della scuola».
Nel suo intervento, intitolato Una scuola in crescita. Una sede di 140 anni, Baruch Lampronti ha ricostruito la storia dell’edificio che, ha spiegato, costituisce un elemento importante nella definizione di un’identità. «Le istituzioni della comunità erano vincolate agli edifici del ghetto, e lì si svolgevano le attività del Talmud Torah; negli scritti dello storico Salvatore Foa risulta che fosse affacciato sulla corte grande del ghetto, e anche Giorgina Arian Levi ricorda come pure la sede dell’attuale scuola fosse originariamente nei locali del ghetto; aveva 56 alunni, mentre la scuola infantile si trovava in un’altra sede e la frequentavano 160 bambini. Nel 1884 la comunità riesce a portare a compimento il progetto dell’edifico attuale: il complesso prevedeva da subito spazi accessori, che servivano per uffici e archivi, secondo il progetto di Enrico Petiti, una figura di rilievo nota per numerose opere residenziali. Il progetto originario prevedeva un fabbricato più semplice, poi però è stato necessario organizzare anche scuole ebraiche secondarie, che hanno avuto inizialmente una sistemazione provvisoria altrove. Nel 1946 i locali della scuola corrispondono a quelli del cosiddetto tempio piccolo, ma già dai primi anni Sessanta c’è l’idea di demolire il fabbricato per realizzarne uno ex novo, uno spazio che possa rispondere alle aggiornate necessità scolastiche, progetto che si concretizza nel 1969, grazie anche a un lascito testamentario che copre più della metà delle spese della nuova costruzione. Giorgio Rosenthal e Bruno Foà progettano il nuovo stabile, quello che è in uso ancora oggi, e che è in attività dal gennaio 1971».
A chiudere gli interventi rav Luciano Caro, ora rabbino capo di Ferrara, che è stato capace come sempre di regalare insieme emozioni e risate, e chiudere il convegno in allegria: «Io mi sono formato qui, tra queste mura, ma non mi ricordo nulla dei primi anni, tranne la mia maestra, che era dolcissima, e le pagine e pagine di aste che dovevamo fare. Un incubo! Poi quando nel 1942 c’è stato il bombardamento mio zio si convinse che fosse un segno divino e quella notte stessa ci fece partire per la Toscana in treno, mentre le cupole bruciavano… me lo ricordo come fosse ieri. Mi hanno inserito nella scuola di Pisa, che era a Viareggio, e lì c’era una maestra fenomenale che si occupava nelle stesse stanze di allievi che facevano i cinque anni di elementari e i tre delle scuole medie. Non so come facesse. In effetti da quel momento non ho più aperto un libro!». Fra le risate dei bambini seduti ai suoi piedi ha continuato: «Finita la guerra ero di nuovo a Torino, e alla fine del ’45 quando è stata riaperta la scuola mi hanno collocato in quarta elementare ma non sapevo né leggere né scrivere, è stato grazie alla mia maestra, che tutti i pomeriggi mi aiutava a recuperare, che sono riuscito a passare l’esame finale. Ho poi fatto la scuola media, intitolata a Emanuele Artom, e il ginnasio e fino alla seconda liceo ho studiato insieme a rav Giuseppe Laras z.l., seguivamo rav Disegni che poi ci mandava anche alla scuola elementare per dare lezione di ebraico, e durante la ricreazione ci ritrovavamo a giocare a pallone in cortile. Siamo stati la fortuna dei vetrai del quartiere». Poi il vociare dei bambini, la torta, e l’occasione di ritrovarsi fra allievi ed ex allievi, insegnanti di oggi e di ieri, di generazione in generazione, e festeggiare il compleanno rotondo di una scuola unica brindando ai suoi prossimi 200 anni.