BERLINO – L’accesso a Kafka in mostra

«Non ho ancora avuto modo di organizzarmi ma è una mostra che voglio assolutamente vedere!». Sono parole di Benjamin Balint, autore di Kafka’s Last Trial, ossia L’ultimo processo di Kafka”, testo premiato con il Sami Rohr Prize e tradotto in una dozzina di lingue. «Ho in programma prima di visitare la mostra che ha da poco aperto a New York, alla The Morgan Library & Museum, ma intendo andare presto a Berlino allo Jüdisches Museum». Access Kafka, mostra appena inaugurata al Museo ebraico della capitale tedesca, a cento anni dalla morte dello scrittore boemo, presenta non solo suoi manoscritti e disegni ma anche il lavoro di artisti contemporanei. Balint ricorda che un personaggio del The Prague Orgy di Philip Roth, uno scrittore ceco, afferma: «Quando studiavo Kafka, il destino dei suoi libri nelle mani dei “kafkologi” mi sembrava più grottesco del destino di Josef K», spiegando che nonostante la sua chiaroveggenza sull’alienazione della vita contemporanea, Kafka non aveva previsto quanti ammiratori avrebbero letto (e frainteso) le sue opere dopo la sua morte. La mostra del Museo Ebraico di Berlino, curata da Shelley Harten, si concentra sull’idea stessa di “accesso”, in un’ottica universale, volutamente fuori dal tempo. Nelle sale dell’ex Corte d’Appello di Berlino, che è oggi uno spazio espositivo speciale del museo, è approfondita l’idea stessa di “accesso” in chiave contemporanea. Concesso o negato, è un’idea che rimane centrale nelle società in cui viviamo, e nella mostra viene declinato in diverse aree tematiche, in cui le opere contemporanee si intrecciano con i manoscritti e i disegni di Kafka. Si parte da Accesso negato, con chiaro riferimento a quello che succede nella nostra società a livello economico o politico come nella vita privata. Kafka, giurista di formazione, nei suoi testi trasforma il rifiuto in qualcosa di tangibile: da Gregor Samsa, trasformato in uno scarafaggio ed escluso dalla sua famiglia, a Josef K. minacciato di essere processato senza sapere né perché né da chi, fino al personaggio che attende invano di essere ammesso Davanti alla legge. E l’accesso avrebbe dovuto essere negato anche alle sue opere, che Kafka aveva chiesto a Max Brod di distruggere alla sua morte. Ma chi può davvero decidere, chiedono le opere esposte, cosa deve essere accessibile e cosa no? Nelle attuali forme di comunicazione attuali la scrittura spesso è sostituita da simboli, slogan o emoji. Pittogrammi.
Le parole diventano immagini, e nell’area dedicata a Accesso alla parola viene mostrato come Kafka scelga la scrittura e il testo come accesso al mondo della sua immaginazione. Un immaginario in cui porte e finestre compaiono a dare forma visibile. Non è autorizzata nessuna illustrazione delle sue opere, i suoi disegni sono simboli, gli abbellimenti restano lavoro dei lettori.
La sezione dedicata rispettivamente ad Accesso alla legge affronta la costruzione di regole insensate, il controllo da parte di forze esterne (anonime), l’invasione della sfera privata e più genericamente l’inaccessibilità del potere in un luogo, l’ex Corte d’Appello di Berlino, in cui oggi è esposto un disegno di Kafka intitolato “Guardiano della soglia”. Anche in Spazio di accesso torna il tema del confine tra dominio pubblico e privato, in un momento in cui globalizzazione ed era digitale aprono spazi nuovi e inaspettati. Se ad alcuni l’accesso viene negato e l’arte non è più limitata ai luoghi tradizionali come le gallerie o i musei, come riconoscerla come tale? Nei testi di Kafka è potente l’uso di porte, cancelli e finestre per dare forma ai sentimenti, in una vera e propria architettura narrativa capace di trasformare e ingannare la nostra percezione, così come i corpi, che si trasformano in Accesso al corpo. Un corpo spesso debole, inadeguato, che però permette di scrivere, un’attività che descrive spesso come molto fisica, e molti sono gli artisti che usano il proprio corpo come ultima barriera tra arte e pubblico. Ma ambivalenza e universalismo sono anche i temi di Accesso all’ebraismo, incentrato su appartenenza ed esclusione, due concetti solo apparentemente inconciliabili. L’appartenenza non è né netta né permanente né deve per forza avere confini chiaramente definiti. Nel suo diario Kafka si chiede: «Che cosa ho in comune con gli ebrei?», per rispondere immediatamente: «Non ho quasi nulla in comune con me stesso».

a.t.