CINEMA – Studiare di nascosto dagli ayatollah: la storia di Azar
«Feel, feel with all your heart!» (Ascoltate, ascoltate con tutto il cuore) è l’appello della scrittrice iraniana Azar Nafisi per contrastare «l’atrofia dei sentimenti e la coscienza dormiente», l’indifferenza diffusa nei confronti degli avvenimenti nel mondo, afferma citando Saul Bellow. Nafisi è stata ospite della Festa del Cinema di Roma per presentare in prima mondiale Leggere Lolita a Teheran, film del regista israeliano Eran Riklis, tratto dal memoir della scrittrice tradotto in 32 lingue e rimasto per più di due anni nella classifica dei best seller del New York Times. La storia è quella autobiografica di Azar (interpretata da Golshifteh Farahani, vista in Paterson e un episodio de I pirati dei Caraibi), che, rientrata in Iran all’inizio della rivoluzione per insegnare letteratura inglese all’università, si scontra con la crescente mancanza di libertà. Così lascia la cattedra per studiare in clandestinità con un gruppo di sette allieve le opere occidentali vietate dal regime. È un modo per tentare di rimanere libere, allargare gli orizzonti, conservare uno sguardo critico. Nel cast ci sono molti altri interpreti-esuli iraniani che hanno già collaborato con produzioni israeliane. Zar Amir aveva diretto con Guy Nattiv il film Tatami, a cui hanno preso parte alcuni degli attori restanti, mentre altri hanno partecipato alla spy story Teheran di Apple TV. Riklis, – noto in Europa per i film La sposa siriana, Il giardino di limoni, Il responsabile delle risorse umane – è sempre stato molto attento alla descrizione e alle ragioni dell’”altro”. Già con Cup final, presentato a Venezia nel 1991, aveva raccontato il rapporto di due soldati israeliani, catturati in Libano, con i loro rapitori. «In tutti i miei film, cerco di esplorare i cuori e le menti delle persone in momenti di estrema pressione, nei momenti di crisi, di ispirazione», afferma, «Tutto questo avviene nel contesto di svolte sociali e politiche. Le situazioni personali che tutti possiamo apprezzare, sono mescolate con eventi locali, regionali e globali che le persone conoscono». A un anno di distanza dal 7 ottobre è ormai chiaro come un regista israeliano non possa sfuggire a una domanda del pubblico o della stampa in cui gli si richieda una presa di posizione politica su quanto accade. Specie se presenta alla Festa del Cinema di Roma un film come questo, in cui racconta la mancanza di libertà sotto il regime iraniano. Alla conferenza stampa, però, Riklis non si fa cogliere impreparato, sorride al giornalista ed estrae un foglio di appunti dal taschino. Ricorda di aver combattuto a lungo nella Guerra del Kippur, di esserne stato molto provato, ma ricorda anche, citandole, le affermazioni di pace di Anwar al-Sadat e Menachem Begin che hanno seguito il conflitto, quattro anni più tardi. «Credo che ora manchino due uomini come loro» conclude «Sono preoccupato per Israele, per l’Iran, per il Libano, per il palestinesi. Ma credo che in un determinato momento sia necessaria una persona che consenta il cambiamento. E credo che questa persona apparirà prima o poi». Alla pellicola è andato il Premio speciale della Giuria per il cast femminile e il Premio del Pubblico FS, sponsor ufficiale della Festa.
Simone Tedeschi