PAESI BASSI – Perché la notte di Amsterdam fa paura

Come definire le recenti violenze antisemite di Amsterdam? C’è chi ha usato il termine pogrom, evocando ferite ancora aperte nella coscienza d’Europa. Ma c’è anche chi lo ritiene inappropriato, perché certo non hanno prodotto la stessa devastazione di eventi come la Kristallnacht con le sue centinaia di vittime, sinagoghe e istituzioni ebraiche in macerie. Resta in ogni caso l’allarme, perché nella notte olandese si è superata un’altra soglia. E il futuro, non solo ad Amsterdam, non sembra promettere bene.
«Un pogrom è più intenso e produce morti. Sarei prudente con questa definizione», sostiene lo studioso della Shoah Marcello Pezzetti. «Un pogrom lo è stato invece senz’altro il 7 ottobre, forse il più efferato di sempre, superiore per intensità anche a quelli praticati un tempo dai cosacchi». Secondo Pezzetti, alle circostanze del post Ajax-Maccabi Tel Aviv si avvicinerebbe di più il termine «squadrismo», anche se non del tutto pertinente neanch’esso «perché in verità c’è stata una caccia all’uomo e la vittima non era l’israeliano ma l’ebreo in quanto tale, non dimentichiamolo». Se proprio vogliamo usare questa parola c’è allora da precisare che è «uno squadrismo che lavora solo su basi etniche, diversamente da altre tipologie di squadrismi che abbiamo conosciuto nella storia». Ciò detto, «è arrivato il momento di interventi decisi da parte istituzionale», auspica Pezzetti. «Occorre prevenire e colpire, nel modo più duro; la repressione deve essere coercitiva».
Maarten van Aalderen è il presidente olandese dell’Associazione Stampa Estera. Corrispondente a Roma del quotidiano olandese De Telegraaf, è un grande tifoso dell’Ajax. Anche per lui la parola pogrom «è forse troppo pesante, mentre è evidente e non equivocabile la matrice antisemita» di quella notte. Un antisemitismo dilagante «purtroppo diffuso tra emigrati di seconda e terza generazione, che guardano a Israele in un certo modo e spesso fanno lo stesso tout court con il mondo ebraico nel suo insieme». Van Aalderen non si dichiara sorpreso per quello che anche lui ha raccontato in vari articoli e testimonianze: «Questa possibilità di violenza era nell’aria. Camminare ad Amsterdam con la kippah in testa è diventato pericoloso e gli insulti arrivano in genere non da olandesi autoctoni, ma da persone collegate ai flussi migratori più o meno recenti. La Comunità ebraica olandese vive nella paura». Il presidente dei giornalisti stranieri in Italia racconta di un sistema scolastico fortemente compromesso da parole di odio che rischiano di trasformarsi in azioni volte a distruggere democrazia e convivenza civile: «In alcune classi succede che, quando gli insegnanti iniziano a parlare della Shoah, ci sia chi li interrompe e porta il discorso sulla guerra a Gaza. La lezione così si blocca e l’insegnante non riesce ad andare più avanti con il suo programma didattico. Incredibile che ciò accada nella città dove si è consumato il dramma di Anne Frank».
Roberto Cenati è l’ex presidente dell’Anpi milanese, organizzazione che ha lasciato in dissenso con la linea nazionale sul conflitto nella Striscia di Gaza e le accuse a Israele di praticare il genocidio dei palestinesi. «Sono molto preoccupato, anche perché in Italia alcune piazze hanno inneggiato ad Amsterdam», spiega Cenati, fresco di assegnazione dell’Ambrogino d’Oro, la massima onorificenza cittadina. «Premetto che non sono uno storico, ma qualche somiglianza con i pogrom ce la vedo. Non bisogna dimenticare che era un’aggressione preparata e programmata, dalla quale è scaturita una caccia all’ebreo ». Guai a sottovalutare quanto avvenuto, dice l’ex dirigente Anpi, «perché l’ondata di antisemitismo è sotto gli occhi di tutti ed è un problema della collettività, nessuno escluso». Nella sua Milano, il giorno dopo l’accaduto, gruppi propal hanno esaltato le azioni di Amsterdam in modo sfacciato. «È da tempo che si tengono cortei ostili a Israele: finora non ci sono stati incidenti rilevanti, ma il clima inizia a farsi pericoloso. Stiamo attenti».

Adam Smulevich