LIBRI – La storia (spezzata) dell’ebraismo palermitano

I primi documenti dai quali si apprende dell’esistenza di un nucleo ebraico a Palermo sono delle epistole inviate dall’allora papa Gregorio I Magno tra il 598 e il 599 a funzionari del clero locale, con l’invito a ricomporre alcune contrapposizioni sorte con «i Giudei di detta città». Poco meno di 900 anni sarebbero trascorsi fino alla promulgazione dell’editto di espulsione degli ebrei dall’isola firmato dai sovrani spagnoli nel 1492. Novecento anni «intervallati da lunghi silenzi dal punto di vista documentario». Ma compensati, specie negli ultimi due secoli, «da una grande messe di atti notarili e altro materiale giuridico». Sono le fonti dalle quali ha attinto Aldo Saccaro, insegnante in pensione di scienze e attivo divulgatore, per il suo saggio Gli ebrei di Palermo. Dalle origini al 1492. Pubblicato da Giuntina, il volume analizza la vita ebraica in Sicilia sotto vari padroni: arabi, normanno- svevi, angioini, aragonesi, fino all’espulsione dettata dalla Spagna. «Oggi dell’ebraismo siciliano e in particolare di quello palermitano rimane ben poco», riporta con amarezza l’autore. Anche perché tutto ciò che poteva ricordare il mondo ebraico e il suo passato glorioso «fu immediatamente cristianizzato» e le istituzioni che scamparono al piccone «trasformate in Chiesa». A farne le spese, spiega Saccaro, furono anche i cimiteri, depredati al punto che di molti «è persino difficile rintracciare l’ubicazione». Senza dimenticare l’opera di “cristianizzazione” degli ebrei che scelsero la conversione subito avviata dalle autorità ecclesiastiche. La macchina organizzativa predisposta dai preti doveva trasformare «nel più breve tempo possibile degli ebrei in buoni cristiani». In ogni diocesi, Palermo inclusa, furono allestiti “corsi di riqualificazione religiosa” con l’intento di insegnare ai neofiti i riti, le preghiere e i precetti della loro nuova fede. Ci fu del “criptogiudaismo”. Ma l’Inquisizione, in poche generazioni, riuscì quasi del tutto a reprimerlo.