Un anno di lacrime e medaglie

«Lo sport ha il potere di cambiare il mondo», sosteneva Nelson Mandela. E se il suo Sudafrica è oggi in prima linea nel tentativo di isolare Israele nelle sedi internazionali, non mancano gli emuli di Pretoria anche nello sport. Perché essere protagonisti nello sport significa «stare sulla mappa», parafrasando le celebri parole pronunciate dal cestista Tal Brody dopo un Cska Mosca-Maccabi Tel Aviv vinto dagli israeliani in tempo di guerra fredda e già allora di pesanti delegittimazioni verso lo Stato ebraico. Mentre pende il giudizio della Fifa sul provvedimento intentato dalla federazione palestinese per la sospensione di quella israeliana dalla “famiglia” del calcio, il 2024 si è appena chiuso ed è tempo di bilanci.
Per lo sport israeliano, nonostante tutto, resterà un anno positivo. Partendo dal grande appuntamento delle Olimpiadi parigine, dove la delegazione d’Israele ha fatto incetta di medaglie: ben sette, suo record assoluto. Una festa oltre lo sport, con evidente funzione di conforto per un paese tramautizzato dal 7 ottobre. Al ritorno in patria i sette medagliati sono stati accolti come delle star, con centinaia di persone in giubilo nell’area arrivi dell’aeroporto Ben Gurion, ospitate televisive, lacrime di commozione. Festa grande soprattutto per Tom Reuveny, medaglia d’oro nel windsurf contro ogni pronostico, il classico outsider che sbaraglia la concorrenza e si porta a casa il titolo.

Il segreto della medaglia d’oro
«Il suo segreto? Sapeva di avere tutto un paese alle spalle. Questo gli ha dato una spinta ulteriore per imporsi», ha raccontato Dafne Guetta, la zia fiorentina di Reuveny. Tra gli “eroi” estivi di Israele c’era anche Artem Dolgopyat, argento nel corpo libero, il primo atleta israeliano a conquistare una medaglia in due edizioni consecutive dei Giochi (a Tokyo aveva vinto l’oro). Commovente Peter Paltchik: il bronzo conquistato nel judo lo ha dedicato al suo allenatore Oren Smadja, presente a Parigi nonostante poche settimane prima suo figlio fosse stato ucciso in guerra. Uno degli abbracci più calorosi è arrivato da Gilad Korngold, il padre di un ostaggio nelle mani di Hamas.
Tante medaglie anche dalle Paralimpiadi. La prima è arrivata nel taekwondo, con l’oro del giovane Asaf Yasur. Prima di partire per la Francia l’atleta aveva spiegato che «gli eventi del 7 ottobre aggiungono significato a qualsiasi sfida» ed espresso «la speranza di veder issare la bandiera di Israele, di sentire l’inno nazionale e di portare orgoglio al paese». Non è stato l’unico a farlo, in campo sia maschile che femminile.
Non banali le imprese del calcio israeliano in Nations League, dopo un avvio in salita del girone: quattro sconfitte su quattro partite disputate e sfibranti settimane di polemiche che hanno preceduto la sfida con l’Italia in quel di Udine per via del patrocinio prima negato e poi concesso dall’amministrazione comunale. Poi, sul finale, la svolta. Prima c’è stato uno storico pareggio a reti bianche in casa della Francia e poi è arrivata la vittoria sul Belgio nell’ultimo incontro disputato sul campo neutro di Budapest. Non abbastanza per evitare la retrocessione dalla Lega A a quella B, ma comunque un’iniezione di fiducia per il futuro visto che la Francia è la vicecampione del mondo in carica e il Belgio è al sesto posto nel ranking. Mai Israele aveva vinto contro una nazionale così quotata. «Siamo i primi ad essere stanchi di non raggiungere grandi traguardi.
Qui c’è una generazione di giocatori che vuole far fare alla squadra un salto di qualità», ha sottolineato a fine gara il capitano Ely Dasa. L’occasione giusta potrebbero forse essere i prossimi Mondiali, in programma nel 2026 negli Usa, Canada e Messico. Israele non riesce a qualificarsi al torneo dal lontano 1970, dove fermò sullo 0 a 0 l’Italia poi sconfitta in finale dal Brasile. Anche allora si giocava in Messico. Chissà che non porti bene…
Note liete anche nel ciclismo, con la Israel Premier Tech di nuovo protagonista sulle strade del Giro d’Italia e del Tour de France. Alla Grande Boucle è arrivato anche un piazzamento di prestigio nella classifica finale, con il nono posto del suo capitano, il canadese Derek Gee. Mettendo da parte i tre “marziani” Pogacar, Vingegaard ed Evenepoel che hanno fatto un po’ gara a sé, Gee è stato uno dei migliori tra i “normali”. Di che pasta fosse fatto lo si era già visto lo scorso anno, al Giro d’Italia, quando sempre in maglia Israel Premier Tech era stato premiato come il ciclista più combattivo.

 

 

 

Le bracciate d’argento della Gorbenko
E combattiva è senz’altro anche la nuotatrice Anastasia Gorbenko, argento nei 400 misti ai Mondiali disputati a Doha a febbraio. La miglior affermazione in carriera dell’atleta israeliana è stata rovinata dai fischi e dai “buu” di parte del pubblico, certo non sorprendenti visto il ruolo svolto dal Qatar come entità fiancheggiatrice dell’estremismo islamico, Hamas incluso. «Essere qui con la bandiera di Israele significa molto per me e per il mio paese», ha spiegato Gorbenko. E ha significato qualcosa anche l’abbraccio dell’italiana Sara Franceschi, terza in vasca alle sue spalle, che per prima le ha espresso vicinanza e solidarietà.
L’Israele dello sport post-7 ottobre è anche la sfida di continuare a essere sempre uguale a se stessa, laboratorio di integrazione e dialogo. Uno spirito incarnato tra gli altri dal Roma Club Gerusalemme, attivo da oltre 25 anni con la sua rete interculturale e interreligiosa fatta da centinaia di giovani. A novembre il suo sforzo è stato premiato al Senato italiano con il conferimento del premio “Il Testimone del Volontariato Italia”. A ritirarlo una delegazione di ragazzi ebrei, musulmani e cristiani.

Adam Smulevich

(Dall’alto in basso: Tom Reuveny con la bandiera israeliana; il ciclista Derek Gee; la nuotatrice
Anastasia Gorbenko)