LIBRI – Dalle piste da sci al grande tradimento

«Racconto una drammatica crisi di coscienza e l’impatto che ha avuto su chi è rimasto e su chi è venuto dopo. Il libro nasce dalle conseguenze di quella crisi, dall’analisi della mia vita condizionata da un passato di cui sapevo pochissimo. Ci fosse stato ancora mio padre non sarei riuscito ad affrontare questo percorso, il confronto sarebbe stato troppo difficile: delle conseguenze del dolore si riesce a scrivere solo quando i protagonisti non ci sono più». Parla Guido Dalla Volta, ingegnere bresciano con una lunga carriera in Ibm e un recente pensionamento dedicato a ricostruire e scrivere Vite da ariani (Enrico Damiani Editore, pagg 512, euro 23,90, prefazione di Liliana Segre). Quelle vissute dalle famiglie del nonno, di cui porta il nome, e del padre Paolo.
Nel 1936 Guido ed Emma Dalla Volta, ebrei benestanti, laici e “assimilati” abitano a Brescia in un appartamento nel Torrione progettato da Marcello Piacentini. Con loro i due figli Alberto e Paolo, ottima educazione, scuole borghesi, nessuna premonizione che una sia pur sbiadita identità ebraica potesse significare essere diversi dagli “altri”. Discriminati. E invece succede quel che sappiamo. Dal 1937 la famiglia Dalla Volta è costretta a fare progressivamente i conti con i primi segnali di un antisemitismo montante che porta in breve Mussolini a produrre le leggi razziste del 1938. «Emma si allarma subito. Teme soprattutto per i figli», dice l’autore. «Il nonno invece minimizza. Non è possibile che il regime si metta contro gli ebrei che tanto hanno fatto per diventare italiani a tutti gli effetti, che hanno combattuto in guerra, che in parte sono anche diventati fascisti. Lui è nel Pnf. Qualcuno li aiuterà».
Proprio sull’appartenenza politica del nonno si è scatenata un’accesa polemica nel corso di una delle presentazioni di Vite da ariani. «Al grido di colpevoli, colpevoli, colpevoli i miei sono stati accusati di essere troppo eleganti, ricchi e benvestiti, e di aver approfittato del fascismo per fare soldi. Essere ebrei fascisti, oltreché borghesi, sarebbe stata la loro colpa suprema, quindi hanno meritato il destino che li aspettava», ricorda addolorato Guido Dalla Volta. «Questo attacco mi ha molto colpito. Ho temuto di aver esposto la memoria della mia famiglia a una violenza che non avrei mai immaginato. A nulla è servito far notare che in quegli anni era una condizione comune. Nell’illusione che fosse per il bene della patria, molti ebrei all’inizio avevano aderito al regime, come gli “ariani” e anche nella stessa percentuale. La nostra storia è simile a tante altre. Penso ai racconti di Liliana Segre, che ha generosamente firmato la prefazione al mio libro: anche lei veniva da una famiglia di ebrei laici, benestanti e bene integrati e suo zio è stato fascista fino alla fine».
Senza guardare alle tessere di partito il destino farà comunque il suo corso. Niente e nessuno potrà proteggere i Dalla Volta. Né la difficile conversione al cattolicesimo né le amicizie istituzionali. Guido e Alberto finiranno ad Auschwitz e non faranno più ritorno. Di loro rimarranno i due nomi, sotto la scritta “ebrei” sulla targa per i caduti della Resistenza, in piazza della Loggia a Brescia. Mentre negli scritti di Primo Levi, da Se questo è un uomo alle lettere finora inedite a Emma Dalla Volta, continuerà a vivere il ricordo di Alberto, l’amico del cuore, l’amatissimo alter ego che divide con lui l’indicibile del campo di sterminio.
Quando tutto si sarà compiuto, a Brescia tornerà Emma con Paolo, il padre dello scrittore, a costruire una nuova “vita da ariani”. Piena di non risolti e di non detti. Polvere sotto il tappeto per cercare di proteggere le generazioni a venire.

Laura Ballio Morpurgo

(Nell’immagine Alberto Dalla Volta con i genitori Guido ed Emma a Madonna di Campiglio nell’inverno del 1938)