SIRIA – Gli ultimi ebrei nella nuova Damasco

La sinagoga Eliyahu Hanavi di Damasco, o ciò che ne resta, è tornata accessibile. Dopo oltre un decennio al centro di una zona di guerra, i pochissimi ebrei rimasti in Siria possono di nuovo visitare uno dei luoghi simbolo della loro storia. Situato nel sobborgo di Jobar, il tempio è stato per secoli un centro di preghiera e incontro dell’ebraismo siriano. Una lastra di marmo in arabo ne indica la fondazione: 720 a.e.v. «Questa sinagoga significa molto per noi», ha spiegato il 74enne Bakhour Chamntoub all’Associated Press, durante la sua visita del 29 dicembre all’edificio devastato dalla guerra. «Ebrei da tutto il mondo mi hanno chiamato per offrire aiuto nella ricostruzione».
Chamntoub è il punto di riferimento per i nove ebrei ancora ufficialmente residenti in Siria. I suoi 12 fratelli sono fuggiti all’estero, ma lui ha scelto di rimanere. Ora, come ha raccontato all’emittente israeliana Kan, spera in un futuro migliore sia per l’ebraismo siriano che per il paese.
A inizio gennaio, Chamntoub ha incontrato Mohammad Badarieh, rappresentante del nuovo regime siriano guidato dal gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham. Durante il colloquio, registrato in video, Badarieh ha promesso «pace e sicurezza» per gli ebrei, invitando la comunità ebraica siriana all’estero a tornare in patria. Ha inoltre assicurato sostegno per restaurare la sinagoga Eliyahu Hanavi e garantirne la protezione. Il gesto si inserisce nel tentativo del nuovo governo di presentarsi come garante delle minoranze siriane, un impegno accolto però con scetticismo, soprattutto in Israele.
Proprio dallo Stato ebraico è arrivato un appello a Damasco. «Proteggete i preziosi ebrei rimasti in Siria e tutelate i siti religiosi», ha chiesto il rabbino Binyamin Hamra – figlio di Avraham Hamra, ultimo rabbino capo della Siria dal 1976 al 1994 – in una lettera indirizzata ad Ahmed al-Sharaa, noto come al-Jolani, leader di Hayat Tahrir al-Sham. «In tutta la Siria ci sono siti storici, antiche sinagoghe e tombe di grandi leader ebrei che costituiscono un patrimonio culturale e religioso per gli ebrei di tutto il mondo», ha sottolineato Hamra, oggi rabbino capo della comunità ebraica siriana in Israele.
Proteggere questi luoghi «non è solo un dovere religioso, ma anche un gesto di rispetto per la storia e la cultura dell’intero popolo siriano». La lettera, pubblicata in arabo, ebraico e inglese, si rivolge direttamente ad al-Sharaa: «Dio Onnipotente ti ha concesso la guida della Siria affinché tu possa portare il paese in un posto migliore di prima». Hamra conclude esprimendo fiducia che, sotto la nuova leadership, la Siria possa diventare una nazione «multiculturale, tollerante e inclusiva, dove ogni gruppo religioso e minoranza etnica possa vivere in pace e sicurezza».

Le radici ebraiche della Siria
Secondo la tradizione, gli ebrei si stabilirono nell’area dell’attuale Siria già durante il periodo del Primo Tempio (1000-586 a.e.v). Damasco e Aleppo divennero centri vitali per la vita ebraica, ospitando comunità fiorenti per secoli. Dopo la Prima Crociata del 1099, circa 50.000 ebrei si rifugiarono a Damasco, rappresentando quasi un terzo della popolazione cittadina. Un’altra ondata arrivò nel 1492, quando gli ebrei spagnoli sfuggirono all’Inquisizione.
All’inizio del XX secolo, la comunità ebraica in Siria contava circa 100.000 persone. Tuttavia, con la creazione dello stato di Israele nel 1948, il numero diminuì drasticamente a causa di violenze e discriminazioni. Sotto il regime degli Assad, gli ebrei hanno goduto, almeno formalmente, di libertà religiosa, ma fino agli anni ’90 non potevano lasciare il paese. Con la revoca delle restrizioni, molti emigrarono, soprattutto negli Stati Uniti e in Israele, tra cui i fratelli di Chamntoub.
«Io sono rimasto. Sono un ebreo siriano e ne sono orgoglioso», ha dichiarato Chamntoub. Ogni anno, accende da solo i lumi di Hanukkah, ma conserva l’auspicio di riabbracciare un giorno i suoi fratelli a Damasco.

d.r.

(Nell’immagine, a sinistra Bakhour Chamntoub con Mohammad Badarieh)