TEATRO – Le “Serate colorate” degli internati di Ferramonti in scena a Milano

“Serate colorate” è il nome che gli internati di Ferramonti di Tarsia diedero alle serate musicali organizzate nel più grande campo di internamento italiano, istituito dal fascismo durante la Seconda guerra mondiale. In questa località calabrese, tra giugno 1940 e settembre 1943, oltre 3.000 ebrei stranieri e apolidi furono rinchiusi perché considerati, a causa della loro identità, una minaccia. Nonostante privazioni, malattie e difficoltà, molti internati trovarono la forza di suonare, comporre e persino organizzare concerti, appunto le “Serate colorate”. Una vicenda che è tornata alla luce negli ultimi anni e che sarà al centro di uno spettacolo e di una mostra a Milano.
Al teatro Menotti di Milano, il 13 gennaio andrà in scena Ferramonti, una storia parallela. L’evento, curato da Laura Vergallo Levi e Paolo Guido Bassi, unisce memoria storica e performance artistica per esplorare la complessità della vita nel campo, dove, nonostante la privazione della libertà, fiorirono cultura e umanità. Un ensemble ridarà vita alle musiche composte e suonate a Ferramonti, mentre una mostra, realizzata con il sostegno dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, racconterà la storia del campo.
La vicenda è legata anche alla Milano ebraica. Nel capoluogo lombardo, alcuni ebrei sopravvissuti ricostruirono una sinagoga utilizzando arredi e oggetti sacri provenienti dal tempio provvisorio costruito nel campo di internamento calabrese. Oggi quella sinagoga è il Beth Shlomo, che custodisce l’eredità di una storia di coraggio e resilienza.
Ferramonti fu costruito su un terreno paludoso, isolato e malsano. Nonostante le condizioni difficili, il campo si trasformò in una vera e propria comunità. Le baracche bianche ospitavano fino a 2.000 persone e il campo era dotato di scuole, sinagoghe, una biblioteca, un sistema interno di governo e numerose attività culturali. Gli internati includevano ebrei provenienti da diversi paesi europei, con culture e lingue varie. Questa diversità inizialmente complicò l’organizzazione interna, ma si rivelò anche una preziosa occasione di arricchimento culturale. Il direttore del campo, Paolo Salvatore, mantenne un atteggiamento tollerante, cercando di alleviare le sofferenze degli internati.
Il 14 settembre 1943, Ferramonti fu liberato dalle truppe britanniche, che includevano i volontari della Brigata ebraica. Furono alcuni di loro a portare a Milano gli arredi della sinagoga del campo, che oggi proseguono la loro vita al Beth Shlomo, simbolo vivente di memoria e speranza.