FERRARA – Tre famiglie, 15 pietre e un libro

In via Mazzini 88 a Ferrara la casa dei Fink-Bassani-Lampronti non c’è più, distrutta durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Solo un arco dell’abitazione originale è rimasto come segno del passato. Dal 16 gennaio un altro segno, molto più visibile, ricorderà la storia ebraica che si nasconde in quel civico: cinque pietre d’inciampo (Stolpersteine) saranno posizionate lì davanti. E così i ferraresi potranno conoscere il nome e il destino di cinque concittadini ebrei, un tempo felicemente riuniti in via Mazzini 88, poi arrestati e deportati nei lager nazisti. Quelle cinque pietre, assieme ad altre dieci posizionate nella stessa via ai civici 14 e 89, saranno le prime in assoluto per Ferrara.
«Inciampare virtualmente su questi blocchetti di colore lucido, ideati dall’artista Gunter Demnig, con riportati i dati delle persone scomparse, porta alla luce qualcosa di essenziale: non racchiudono solo nomi da citare, ma la storia di intere famiglie ferraresi», ha sottolineato il presidente della Comunità ebraica di Ferrara, Fortunato Arbib, presentando di recente il progetto assieme al Comune. Un’iniziativa in cui, oltre ad amministrazione comunale e Comunità, sono coinvolti il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah e altre istituzioni locali.
Per Enrico Fink, presidente della Comunità ebraica di Firenze, via Mazzini 88 rappresenta un pezzo di storia di famiglia nonché lo spunto del suo primo romanzo, Patrilineare. Una storia di fantasmi, in uscita per Lindau il 24 gennaio. «L’appartamento davanti al quale verranno apposte le pietre non esiste più. Un vuoto architettonico simbolo del vuoto lasciato dalla Shoah nella memoria collettiva e personale. Ma in parte quel passato sopravvive». Quella casa un tempo punto di riferimento per la famiglia Bassani-Fink-Lampronti non è stata dimenticata. Qui si incontravano il nonno Isacco Fink, la nonna Laura Bassani, i suoi fratelli Carlo e Giuseppe Bassani. La moglie e la figlia di quest’ultimo, Rina Lampronti e Marcella. Di questi sei nomi, cinque sono impressi sulle Stolpersteine.
«Mio padre Guido è l’unico sopravvissuto, insieme a mia nonna Laura. Gli altri scomparvero nella Shoah. E il libro racconta queste storie, tracciando un quadro della vita ebraica dell’epoca e delle diverse reazioni alle persecuzioni: da un lato, gli ebrei italiani, i Bassani e i Lampronti, fiduciosi che nulla di troppo grave sarebbe accaduto, e dall’altro, i profughi russi, i Fink, più cauti ma comunque traditi da una delazione, arrestati e assassinati».
Patrilineare, spiega l’autore, è incentrato sulla trasmissione della memoria tra le generazioni. «Il protagonista è un giovane musicista, un alter ego di me stesso, che si confronta con questa eredità pesante di assenze e fantasmi,» racconta Fink. L’opera riflette sulle scelte consapevoli e travagliate di chi decide di tornare al mondo ebraico, confrontandosi con le ombre del passato non sempre facili da gestire.
Il libro ha richiesto un lungo lavoro di ricerca per ricostruire le vicende famigliari, inizialmente frammentarie e spesso tenute sotto silenzio per decenni. «Queste storie sono rimaste nascoste fino agli anni ’90-2000». Grazie alla digitalizzazione della stampa ebraica di inizio Novecento da parte della Fondazione Cdec, sono emersi molti dettagli inaspettati sulle vite degli antenati di Fink, inclusi episodi drammatici legati alla Prima guerra mondiale e alla nascita del sionismo.
Il titolo del libro richiama la linea di trasmissione della memoria attraverso le figure maschili della famiglia: padre, nonno, bisnonno. Figure a cui restituire una storia e una biografia. Una dignità, obiettivo anche delle pietre d’inciampo. «Per me le Stolpersteine rappresentano non soltanto un simbolo di vite strappate alla collettività, ma sono cicatrici sparse per le città. Sono oggetti d’arte da non abbandonare a se stessi. È necessario raccontare le storie dietro i nomi e a Ferrara è stato fatto molto bene: dal Comune, dalla Comunità, dal Meis, c’è un impegno veramente trasversale per non dimenticare le storie di queste famiglie».


Daniel Reichel