L’OPINIONE – Alberto Heimler: Netanyahu risorto dalle sue ceneri

Dopo il 7 ottobre 2023 Benjamin Netanyahu sembrava un leader finito. L’attacco di Hamas che non aveva saputo né prevenire né sventare sembrava una sconfitta da cui non sarebbe mai stato capace di risorgere. Un anno e mezzo dopo Netanyahu appare quale leader vittorioso. La sconfitta di Hezbollah in Libano, il colpo inflitto all’Iran con i recenti bombardamenti, la caduta di Bashar Assad in Siria, la decimazione della leadership di Hamas e la quasi completa cancellazione del suo esercito, la distruzione dei depositi di armi e di missili a Gaza, sono risultati positivi inequivocabili. Occorre riconoscergli visione, leadership, duttilità, capacità negoziali e, soprattutto, indipendenza. Indipendenza dagli Stati Uniti, disattendendo nella gestione della guerra molte delle indicazioni del presidente americano, che non voleva l’ingresso a Rafah da parte dell’esercito israeliano e che premeva per un cessate il fuoco quando le sorti della guerra non erano così favorevoli a Israele. E gli Stati Uniti sono l’unico alleato sincero che Israele ha. Ci vuole coraggio, determinazione, visione e leadership per disattendere le sue indicazioni. Ma indipendenza anche dai suoi alleati di governo che mai avrebbero accettato il cessate il fuoco di questi giorni. E invece Netanyahu è andato avanti. Tutti lo consideravano sconfitto dai nemici di Israele o asservito ai suoi alleati di governo. E invece ne è uscito vincitore.
Ma il cessate il fuoco non è ancora la fine. Il cessate il fuoco può durare e può anche estendersi fino a condurre a casa tutti gli ostaggi. Può però condurre anche alla pace. Ma occorre un piano e oggi Netanyahu è il solo che ha la forza di portarlo avanti.
Innanzitutto, Israele non può agire da solo e neanche solo con gli Stati Uniti. Occorre coinvolgere gli Stati arabi moderati nella gestione di Gaza, non semplicemente per finanziare la ricostruzione. Gaza, una volta liberati gli ostaggi, deve essere commissariata e gestita da Egitto, Arabia Saudita ed Emirati, con la prospettiva di condurre alla creazione di uno Stato palestinese con elezioni nel giro dei prossimi 3-4 anni e un percorso chiaro e preciso di progressiva autonomia (che coinvolga anche la West Bank). Sì, un circolo virtuoso può innescarsi, ma Israele non può accettare qualsiasi risultato. I palestinesi non possono non aver capito in questo anno e mezzo di guerra che Israele non si conquista così facilmente come Hamas riteneva e che l’unica possibilità per loro è avere uno Stato a fianco di Israele, non al posto di Israele. I due Stati però possono coesistere solo se si rispettano a vicenda e se non arrivano a governarli forze estremiste. Israele non accetterà più una Gaza governata da Hamas. Prima i palestinesi si rendono conto che Hamas non è la soluzione per loro, prima la vera pace arriverà. Da parte israeliana non mi pare che i partiti estremisti di Ben Gvir e Smotrich abbiano alcuna possibilità di conquistare la maggioranza.
Netanyahu non è in assoluto l’unico da parte israeliana in grado di poter avviare un percorso di pacificazione, ma relativamente, guardando alle alternative in campo, Gantz e Lapid, è l’unica vera possibilità. Va appoggiato, non contrastato!


Alberto Heimler