ROMA – Memorie di famiglia e canti degli ebrei d’Europa
Se nel 2024 il tema era stato “l’ora della scelta”, con l’intento di tracciare storie di giusti e ingiusti, solidali e indifferenti nei mesi più bui della persecuzione nazifascista in Italia, adesso il focus sarà sul “dopoguerra”. Su quando cioè, finito l’incubo delle retate, degli arresti e delle delazioni, fu possibile guardare in modo diverso al futuro e nuove speranze si accesero verso oriente in direzione del nascente Stato ebraico. Tredici le vicende che saranno raccontate nel nuovo incontro di “Memorie di famiglia”, il format annuale dedicato alla Memoria a cura del Centro ebraico Il Pitigliani di Roma, giunto quest’anno alla quattordicesima edizione. Come tradizione, per favorire un’ideale passaggio di testimone, saranno i nipoti a leggere e riflettere attorno alle storie dei nonni. L’appuntamento è per domenica 26 gennaio alle 10.30.
«La fine del conflitto non ha significato la fine del dolore», premettono nell’introduzione all’antologia dei testi Giordana Menasci e Anna Orvieto, le due curatrici del format. Per chi aveva perso tutto, il Dopoguerra rappresentò «una sfida immane» e in molti casi un doloroso confronto «con rovine e vuoti, materiali e affettivi», perché «le case erano state occupate, le attività distrutte e i volti familiari erano scomparsi».
Le donne e gli uomini dell’Aliyah Bet
In ragione anche di queste mancanze, divenne naturale per molti rivolgersi verso l’allora Palestina mandataria, perché a differenza dell’Italia ostile fino a poco tempo prima, «l’antica terra d’Israele rappresentava una speranza, un luogo dove ricostruire non solo le vite, ma anche un’identità collettiva». Come noto, non fu un’impresa facile e il più delle volte ostacolata dalle autorità britanniche. “Memorie di famiglia” ricorderà in quest’ottica alcune figure distintesi nell’organizzazione dei viaggi clandestini che a più riprese partirono dall’Italia sulle ali della «determinazione e della necessità» di donne e uomini dalla volontà ferrea. È il caso di Yehuda Arazi, conosciuto con il nome di Alon, che ebbe un ruolo centrale nell’Aliyah Bet. Furono viaggi non solo fisici ma anche simbolici, sottolineano Menasci e Orvieto, in quanto rappresentativi della volontà di lasciarsi alle spalle l’Europa devastata «per costruire una nuova identità collettiva». Altre testimonianza riguarderanno tra gli altri la scrittrice Lia Levi, che nelle sue memorie catturò gioia ed euforia della liberazione, e un pilastro dell’educazione ebraica a Roma: Emma Alatri, che a 19 anni decise di diventare insegnante alla scuola Vittorio Polacco. «La sua storia ci racconta di un’educazione che andava oltre l’insegnamento, in un’epoca in cui parlare di Shoah era ancora un tabù», spiegano le curatrici. Alatri scelse di condividere con i suoi studenti le esperienze della guerra. E lo fece «con delicatezza e fermezza, aiutando i bambini, spesso orfani o segnati dalle deportazioni, a fare i conti con un passato troppo recente per essere ignorato».
Storie e canti degli ebrei d’Europa
Per il Giorno della Memoria, il Pitigliani ha organizzato anche un concerto su “storie e canti degli ebrei d’Europa”, in collaborazione con Il Centro di Cultura della Comunità ebraica di Roma, la Fondazione Museo della Shoah e l’Istituto Polacco di Cultura. L’iniziativa, in programma lunedì 27 gennaio alle 20, sarà animata da due artisti: Bente Kahan, voce e chitarra, con Marco Valabrega che la accompagnerà al violino. L’idea è di proporre al pubblico «uno sguardo su un mondo perduto con la Shoah» attraverso l’interpretazione di canzoni e poesie scritte nei ghetti di Vilnius, Cracovia, Varsavia e Terezin. Gli artisti alterneranno musica e canti all’esposizione della storia delle loro famiglie. Tutto nasce con l’impegno di Kahan, istitutrice a Breslavia di una fondazione sotto gli auspici della quale sono stati restaurati l’antica sinagoga della città polacca e il mikweh, il bagno rituale.
Adam Smulevich
(Nell’immagine: il progetto “Memorie di famiglia” protagonista di una recente iniziativa al liceo Chateaubriand di Roma)