FIRENZE – Pietre d’inciampo, il ricordo di Fiammetta e Bruno Moscato

Fiammetta Moscato non compare negli elenchi del censimento degli ebrei italiani realizzato dal regime fascista nell’estate del 1938, preludio alla successiva promulgazione delle leggi razziste. Forse perché considerata “mista”, ipotizza la storica Marta Baiardi. Alcuni anni dopo in ogni caso il suo nome troverà posto negli elenchi aggiornati di Giovanni Martelloni, uno dei più spietati cacciatori di ebrei a Firenze quando nell’autunno del 1943 la persecuzione dei diritti divenne persecuzione delle vite. Un’ebrea “pura”, pur essendo vedova di un “ariano”, battezzata e con tutti i figli battezzati. Quell’inserimento le fu fatale perché nell’aprile del 1944 la 59enne Fiammetta fu arrestata dai nazifascisti, presumibilmente a casa sua in via dell’Orto 20, e ad agosto deportata e assassinata ad Auschwitz-Birkenau.
Ci troviamo nel cuore di San Frediano, uno dei quartieri storici di Firenze, dove stamane istituzioni, associazioni e alcune scolaresche si sono date appuntamento per onorarne la memoria con la posa di una pietra d’inciampo, l’ultima stolpersteine fiorentina a trovare dimora in questo mese di gennaio. Accanto a quella di Fiammetta è stata collocata un’altra pietra, quella del fratello Bruno, anche lui vittima della Shoah. Tra gli intervenuti la sindaca Sara Funaro, il rabbino capo Gadi Piperno e Gianni Vangelisti, uno dei nipoti della donna. Era inoltre presente alla cerimonia Yaron Sideman, l’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede, in città per alcuni incontri istituzionali. «Non avevo mai assistito alla posa di una pietra d’inciampo. È stato un momento commovente, molto intenso», ha confidato il diplomatico a fine evento.
Sia il rabbino sia la sindaca hanno ricordato l’importanza delle pietre d’inciampo come testimonianza storica e come nutrimento civico per le nuove generazioni, per costruire un mondo di uguaglianza e fratellanza basato anche sulla conoscenza dei fatti avvenuti. Toccante il discorso del nipote della donna, che ha ricordato anche un altro fratello ucciso ad Auschwitz: Renato Moscato, che viveva a Pistoia e cui è dedicata una lapide in piazza della Resistenza. Mentre un quarto, Amedeo, riuscì a sopravvivere grazie all’aiuto di alcune persone che lo nascosero.
«Delle loro sofferenze siamo a conoscenza dalle lettere inviate dal carcere maschile delle Murate, dal carcere femminile di Santa Verdiana e infine dal campo di concentramento di Fossoli», ha spiegato Vangelisti. «Oltre a Fiammetta anche i due fratelli Moscato scrivevano solo a mia madre Nara, l’unica che aveva il cognome paterno non ebraico, che non metteva a rischio la vita dei loro cari, poi più niente». L’uomo ha poi aggiunto: «Mi sono spesso soffermato a pensare che la Shoah ha segnato la vita non solo di chi è stato imprigionato, torturato e quasi sempre ucciso, ma anche delle generazioni postume: i figli, i nipoti i pronipoti…Penso all’affetto che è mancato a mia madre, a quello che mia nonna avrebbe avuto certo per noi nipoti, alla possibilità mancata di conoscere i pronipoti».
Adam Smulevich