MILANO – Renato ed Ezio Levi, vittime dell’odio fascista per il jazz
La storia di due ebrei: uno esiliato, l’altro deportato
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Stesso cognome, ebrei, amanti del jazz: Renato (1898-1944) ed Ezio Levi (1915-2005) avevano tante affinità. Non erano parenti, ma i loro destini nella Milano degli anni Trenta si incrociarono grazie alla musica e si divisero a causa dell’antisemitismo fascista, come ha ricostruito il musicologo Luca Bragalini. Il suo spettacolo Lo swing di Ezio e Renato Levi: storie di musica durante la Shoah ha chiuso al Conservatorio Verdi di Milano gli appuntamenti per il 27 gennaio in città. Un’iniziativa promossa dall’Associazione Figli della Shoah a cui hanno partecipato centinaia di milanesi. «Vi ringrazio di essere qui in così tanti. Grazie anche perché è un periodo in cui ci sentiamo disperatamente soli», ha affermato dal palco Daniela Dana Tedeschi, presidente dell’Associazione Figli della Shoah. Anche Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano, ha espresso la propria gratitudine al pubblico. «Come comunità ebraica abbiamo molto bisogno di solidarietà, è un momento estremamente difficile in cui assistiamo a un aumento esponenziale dell’antisemitismo», ha sottolineato Arbib, esortando il pubblico a non sottovalutare gli allarmi del mondo ebraico. «Abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti per affrontare l’odio antisemita», ha concluso il rav.
Poi a parlare sono state la musica, grazie alla Verdi Jazz Orchestra diretta da Pino Jodice, e il racconto di Bragalini della vita dei due Levi.
Fu Renato, proprietario di un negozio di dischi, a dare la possibilità al giovanissimo Ezio di scoprire molti musicisti jazz. Fu sempre Renato l’unico nel 1938 a pubblicare l’opera Introduzione alla vera musica di Jazz, scritta da Ezio assieme all’amico Gian Carlo Testoni. Il 1938 fu anche l’anno in cui i destini dei due Levi si divisero.
Ezio, ingegnere, musicista, fondatore assieme a Testoni del primo jazz club milanese (il Circolo Jazz Hot Milano) e autore di diverse composizioni musicali (suonate ieri), con le leggi razziali decise di abbandonare l’Italia fascista e antisemita per il Sud America.
Renato, reduce della Prima guerra mondiale in cui aveva perso il fratello Maurizio, decise di restare a gestire il suo negozio di musica. Si oppose al blocco fascista sulle importazioni di dischi dall’America. Una resistenza culturale per cui Levi pagherà il prezzo più alto. I fascisti lo spoglieranno di tutti i suoi averi, tutto meticolosamente appuntato nel registro dei beni sequestrati agli ebrei. Nella lista, ritrovata da Bragalini, ci sono dischi e spartiti musicali, ovviamente, e anche 309 volumi di Introduzione alla vera musica di Jazz. Un patrimonio inghiottito nella Shoah assieme al «povero Renato Levi», come ricorderà Ezio in una lettera degli anni Novanta.
L’arresto e la deportazione
Il 12 ottobre 1943 nazifascisti lo arrestarono nella sua casa milanese. Detenuto a San Vittore, l’11 dicembre 1943 fu deportato, attraverso il famigerato Binario 21 della stazione Centrale di Milano, ad Auschwitz. Renato Levi morì dopo poche settimane, il 23 gennaio 1944. Il suo nome, la data di nascita e di morte sono da quest’anno impresse in una strada di Milano, ha ricordato Bragalini. In via Fatebenefratelli 12, dove un tempo abitava Levi è stata posizionata una Pietra d’inciampo in sua memoria. «Un modo per non dimenticarne la storia», ha ricordato il musicologo, docente del Conservatorio. «Tutti dovremmo essere riconoscenti nei confronti di entrambi i Levi», ha concluso Bragalini, «anche se non siamo musicisti, anche se non amiamo il jazz. Questi due uomini si sono spesi perché la cultura, la bellezza, l’eleganza potessero avere ancora diritto di cittadinanza in un mondo che pareva irrimediabilmente abbruttito. Una lezione da non dimenticare».
d.r.