ISRAELE – Il lento ritorno alla vita degli ex ostaggi

Sorseggiare la mattina un caffè in compagnia dei figli. Per l’ottantenne Keith Siegel e la sua famiglia, dopo 484 giorni di attesa, i piccoli gesti quotidiani hanno un grande valore. «Mio padre è a casa e beve un caffè con me, grazie al cielo!”, ha esclamato di gioia la figlia di Keith, Shir, in un post sui social. Il padre è finalmente libero, così come Yarden Bibas e Ofer Calderon, rilasciati da Hamas oltre quindici mesi dopo il loro sequestro. I tre ex ostaggi sono sotto osservazione e le loro famiglie cercano di proteggerli. Ringraziano l’opinione pubblica, ma chiedono anche cautela e pazienza. Soprattutto per Yarden. La moglie Shiri e i suoi due figli Kfir, 2 anni, e Ariel, 5, sono ancora in mano agli aguzzini di Hamas. È prevista la loro liberazione nelle prossime settimane, ma c’è «grande preoccupazione” per il loro destino, sottolineano da Israele. Per questo i Bibas chiedono a tutti cautela, mentre le immagini dell’abbraccio di Yarden con il padre Eli hanno commosso il paese.

Le gabbie e i tunnel
La situazione psicofisica di tutti gli ex ostaggi, spiegano i medici, è molto delicata, mentre cominciano a emergere nuovi dettagli sulla loro prigionia. Secondo l’emittente Kan, diversi ostaggi, tra cui Yarden, Keith e Ofer, a cadenza ravvicinata sono stati obbligati da Hamas a girare video in cui si rivolgevano alle loro famiglie, in alcuni casi venendo costretti a dare loro addio. A Yarden i suoi aguzzini parlavano in continuazione dei figli e della moglie, dopo avergli annunciato la loro morte in un bombardamento israeliano, fatto mai confermato da Gerusalemme. Lui in questi quindici mesi ha imparato l’arabo.
Sia Yarden sia Ofer, insieme nelle prime settimane di prigionia, hanno raccontato di essere stati ripetutamente picchiati e rinchiusi in gabbie. Poi sono iniziati gli spostamenti da un luogo all’altro di Gaza, in tunnel o in edifici, spesso assieme ad altri ostaggi. Una costante anche per Keith, spostato di continuo e rinchiuso in diverse abitazioni. Sequestrato dal kibbutz Kfar Aza il 7 ottobre, per mesi ha raccontato di aver temuto il peggio per il figlio Shai. I due erano insieme nel kibbutz quando i terroristi hanno attaccato. Dopo mesi dal suo rapimento, il padre ha sentito alla radio la voce di Shai e ha scoperto che era sopravvissuto.
Tutti e tre, così come altri ex ostaggi, hanno testimoniato l’importanza delle manifestazioni organizzate in questi mesi per chiederne liberazione: ci hanno dato forza speranza e speranza, hanno commentato.