MILANO – Segre: «Accoglienza è il contrario della violenza nazista»
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Porre al centro l’accoglienza non vuole dire fornire «una ricetta semplicistica per problemi seri come quello delle migrazioni», «non è un utopistico “accogliamoli tutti”», ma «è una filosofia di vita: non chiudersi, non respingere a priori, non avere paura dell’altro e non farsi mai abbindolare da chi specula su pregiudizi e investe nell’odio». Lo ha spiegato davanti al pubblico raccolto al Memoriale della Shoah di Milano la senatrice a vita Liliana Segre. Nel giorno in cui, 81 anni prima – il 6 febbraio 1944 –, le si aprì l’orrore di Auschwitz, Segre ha ribadito perché per lei accoglienza è una parola chiave: «È all’estremo opposto della volontà dei nazisti di eliminare i diversi, gli appartenenti a popoli e categorie da loro considerate indegne di vivere». Tra quelli catalogati come indegni, ha ricordato Segre, c’erano anche lei e il padre Alberto, deportati con centinaia di altri ebrei il 31 gennaio 1944 da Milano. «Eravamo partiti da qua», ha ricordato Segre. Il Memoriale di oggi un tempo era il famigerato Binario 21 della stazione Centrale di Milano, da cui i nazifascisti facevano partire i treni per i campi di sterminio.
Dal 1997 la Comunità di Sant’Egidio, assieme a Segre, ricorda quella tragedia con un momento di riflessione. E così è stato anche ieri, con la partecipazione della Comunità ebraica di Milano. Un’occasione per rimarcare, come ha fatto il presidente del Memoriale, Roberto Jarach, «l’importanza di fare memoria e di educare le giovani generazioni. Noi in questi anni abbiamo fatto tanto, ma dobbiamo ancora migliorare». E lo testimonia l’allarme del rabbino capo della città, Alfonso Arbib, di fronte all’ondata di antisemitismo scatenatasi dopo le stragi di Hamas del 7 ottobre. «È stato fatto moltissimo lavoro sulla memoria e sull’antisemitismo, ma dobbiamo prenderne atto: nonostante le migliori intenzioni, qualcosa non ha funzionato». Arbib ha richiamato i presenti a non sottovalutare le minacce contro gli ebrei. «Non è solamente una nostra percezione, è un pericolo reale», ha avvertito il rabbino capo, richiamando l’attenzione su uno spaccato preciso del fenomeno: «l’antisemitismo inconsapevole». È quello «di persone animate da ottimi sentimenti, che nel nome della difesa dei diritti pensano di essere dalla parte giusta della storia, ma non riescono a capire che dietro le loro affermazioni si nasconde un pregiudizio devastante». Un riferimento a chi, sostenendo di difendere i palestinesi, accusa Israele di genocidio e ribalta la storia.
«L’antisemitismo non è mai scomparso, è rimasto nelle pieghe della società italiana», ha confermato la vicepresidente del Memoriale, Milena Santerini. È un dato vero, «ma non è inevitabile», ha aggiunto Santerini, «può essere contrastato attraverso forze culturali e politiche». Un esempio concreto è il lavoro di Liliana Segre e dei luoghi della memoria, che dialogano con i giovani. «Serve un uso costruttivo della memoria per promuovere una cultura dei diritti e dell’inclusione», ha sottolineato Santerini.
A parlare di memoria, ma in chiave diversa, è stata Cristina Cattaneo, direttrice del Laboratorio di antropologia e odontologia forense (Labanof) dell’Università degli Studi di Milano. Attraverso il lavoro scientifico, da trent’anni Cattaneo e il suo team ricostruiscono le identità di migliaia di persone, vittime di eccidi o morte nel Mediterraneo. Uomini, donne e bambini a cui, ha spiegato il medico legale, bisogna restituire almeno la dignità nella sepoltura. Allo stesso tempo, il team è impegnato a documentare le torture subite, ad esempio, dai richiedenti asilo. «Un lavoro che aiuta queste persone a ottenere protezione», ha ricordato Cattaneo.
Tra loro c’era Alfa Umar Camara, profugo originario della Guinea, intervenuto al Memoriale. Arrestato e torturato nel suo paese per aver manifestato, Camara è fuggito verso l’Europa. Nel passaggio dalla Libia è stato nuovamente torturato, come ha documentato l’équipe di Cattaneo. Poi è riuscito a sbarcare in Italia, dopo essere stato salvato dalla marina italiana nel 2016. In quell’anno è stato ospitato a Milano proprio dal Memoriale della Shoah, che tra il 2015 e il 2017 aveva aperto le sue porte per accogliere profughi e rifugiati. Qui, ha raccontato, è iniziato il suo percorso di integrazione, aiutato dalla Comunità di Sant’Egidio. «Oggi ho una casa a Milano, lavoro e ho costruito una famiglia», ha aggiunto con emozione. «In un momento difficile della vita si può scoprire che esiste una famiglia, non di sangue, ma del cuore e dell’amicizia».
d.r.