GERMANIA – Votare con AfD: esercizio democratico o tabù infranto?

L’intervista rilasciata alla Welt TV da Michael Wolffsohn ha scatenato il dibattito: lo storico tedesco nato a Tel Aviv nel 1947 ha difeso la strategia portata avanti dalla Cdu, che ha votato con i deputati dell’AfD per approvare un provvedimento sulla politica d’asilo, sollevando questioni fondamentali sui limiti della cooperazione politica. La sua argomentazione, basata sull’idea che la ricerca di alleanze variabili sui singoli temi sia legittima, ha portato a un confronto acceso tra favorevoli e contrari. Wolffsohn ha dichiarato che esistono democrazie in cui è stato fatto, e con successo, citando l’esempio della Danimarca, dove gli estremisti di destra sono passati dal 20 per cento al 3 per cento circa. Inoltre, ha aggiunto, nonostante i tentativi di isolarla, l’AfD si è rafforzata: si devono allora cercare altre strade. Quando prevale la ragione, ha spiegato, ossia quando la volontà degli elettori o della maggioranza della popolazione viene presa in considerazione dalla politica si applicano i principi della democrazia: se due terzi dei tedeschi affermano che non è possibile continuare a gestire l’immigrazione come è stato fatto sino a ora non si può imporre qualcosa di differente, neppure se significa votare con l’AfD.
La delusione del mondo ebraico
Il Consiglio centrale degli ebrei tedeschi (Zentralrat der Juden) si è detto deluso dal fatto che i partiti democratici non siano stati in grado di concordare un’azione comune. L’autore Michel Friedman ha restituito la sua tessera della Cdu, l’Unione degli Studenti Ebrei ha dichiarato che non ci dovrebbe essere alcuna forma di cooperazione con fascisti, antisemiti ed estremisti, e Christoph Heubner, vicepresidente esecutivo del Comitato Internazionale di Auschwitz, ha affermato che i sopravvissuti si chiedono perché in Germania un partito simile stia diventando centrale nelle decisioni politiche. A favore della tesi di Wolffsohn resterebbero la rafforzata flessibilità decisionale garantita da una maggioranza variabile, non vincolata rigidamente a una formazione politica, cosa che porterebbe a una migliore capacità di risposta a problemi urgenti, come la gestione dell’immigrazione, e il fatto che, come successo in Danimarca, una collaborazione con la destra può contribuire alla riduzione del consenso dell’estrema destra. E in un sistema democratico, il principio della rappresentanza implica che le decisioni riflettano le preferenze dell’elettorato, indipendentemente da questioni di principio. Ma la posizione di Wolffsohn porta a una legittimazione indiretta di forze politiche estremiste e l’AfD è considerato un pericolo per la democrazia da gran parte dello spettro politico tedesco. Collaborare potrebbe rafforzarne il prestigio e la percezione di affidabilità, anziché indebolirla: se i partiti democratici si presentano come oppositori netti dell’AfD, accettarne il sostegno può risultare contraddittorio. La coesione interna dei partiti e la fiducia degli elettori potrebbero risentirne, come evidenziato dalla delusione espressa dal Consiglio Centrale degli Ebrei in Germania. Se il coinvolgimento dell’AfD in decisioni parlamentari diventasse una prassi abituale, la distinzione tra forze democratiche e forze estremiste sarebbe più labile, aprendo la strada a un’integrazione progressiva delle loro idee nel discorso politico mainstream. La tensione tra efficienza decisionale e salvaguardia dei principi democratici appare forte: la flessibilità politica può migliorare la governabilità e rispondere meglio alle sfide attuali ma l’inclusione, anche indiretta di forze estremiste potrebbe erodere la credibilità e la stabilità del sistema democratico. Resta da trovare il punto di equilibrio tra pragmatismo politico e difesa dei valori democratici.