L’APPELLO – Davide Assael: Progressisti, dove siete?

A guardare TV, giornali e web in questi mesi di revanscismo antisemita (+400% di atti antisemiti nei primi mesi del 2024 secondo l’Osservatorio Nazionale sull’Antisemitismo), noto che uno degli argomenti ricorrenti è la presunta compattezza delle comunità ebraiche dietro la politica di Netanyahu. Parole che stupiscono in quanto rimuovono una dialettica interna, che, fedele al vecchio detto due ebrei tre opinioni, è ben viva oggi sia in Israele che nell’ebraismo diasporico. Tutto, Italia compresa. Poi, è chiaro, ognuno di noi, sempre per rimarcare la stessa vis polemica, si lamenta di essere escluso dall’altra parte, riflesso condizionato che pur rivela un certo modo di intendere la pratica del potere comunitario da parte di alcuni, ma qualcuno se la sentirebbe di affermare che HaKehillà è uguale a Shalom, che, non so, la giunta della Comunità di Firenze è dello stesso indirizzo di Roma o Milano? E Livorno, Casale? Per citare due comunità storiche dell’ebraismo italiano? Se, poi, si guarda al più ampio dibattito intellettuale ebraico, la forbice fra le opinioni si allarga ancora di più, trovando, in riferimento al 7 ottobre e al tragico conflitto che ne è seguito, opinioni che vanno dal negazionismo vero e proprio (in realtà solo un’opinione va in questo senso, ma tant’è, la registriamo), alla riduzione del conflitto allo schema oppresso/oppressore caro a una tradizione di sinistra che ha sempre dimostrato empatia per la causa palestinese, fino alle posizioni più identitarie certamente in linea con l’attuale governo. Più precisamente col primo ministro Benjamin Netanyahu perché di fan del sionismo religioso sinceramente non ne ho visti alle nostre latitudini, ma potrei sbagliarmi. Abbiamo citato importanti comunità e organi di stampa storici dell’ebraismo italiano, se uno non li conosce, vien da dire, informati! Chiaro che, fra tutti, Moked ha un ruolo particolare perché non è un bollettino comunitario o il rappresentante di un indirizzo specifico, ma dell’UCEI stessa, dunque dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. E, se si dà una rapida scorsa ai contributi delle ultime settimane, anzi degli ultimi mesi, effettivamente si vede una nettissima prevalenza di tesi che, per semplificare, possono definirsi pro-Bibi, dando l’immagine di un ebraismo compatto dietro l’attuale premier, che, in realtà, se ha sempre svolto una funzione in patria e fuori è quella di dividere. Conoscendo la determinazione con cui l’attuale Direttore Daniel Mosseri ha cercato di ricostruire una squadra di editorialisti che pubblicassero con costanza sul portale, non posso pensare che ci sia una qualunque forma di censura da parte sua o dell’UCEI. Mi rivolgo, allora, alla parte dell’ebraismo italiano più critica nei confronti delle posizioni dell’attuale governo e più, invece, in linea con la parte che lo contesta anche in Israele: dove siete? Fra questi ci sono anche nomi molto noti del panorama giornalistico e intellettuale italiano, che potrebbero offrire ulteriore visibilità ad un dibattito che è molto più articolato di quello che appare a prima vista. Credo sia nostro dovere aggiungere questo compito ai nostri già numerosi impegni. Siamo tutte/i responsabili della percezione esterna della nostra comunità e non possiamo esporre il fianco a queste rappresentazioni monolitiche dell’ebraismo che altro non sono che riedizioni in chiave moderna dell’immagine dei perfidi judei, tutti compatti verso la vendetta. Soprattutto, però, abbiamo un dovere nei confronti della nostra comunità, attraversata sempre più da quello sinat chinam, che i maestri ci insegnano essere l’annuncio delle peggiori catastrofi. A suo modo, il 7 ottobre ne è stato un ulteriore esempio.

Davide Assael