ROMA – Herzog in sinagoga: Israele e Diaspora un unico cuore
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Tra Israele e Diaspora c’è un nesso indissolubile. Ed è un’alleanza indispensabile per riaffermare i valori della vita, del coraggio e della speranza.
Il presidente israeliano Isaac Herzog l’ha ribadito al Tempio Maggiore di Roma, dove è giunto in compagnia della moglie Michal. Ad accoglierlo nell’ultimo di numerosi incontri della sua giornata italiana sono stati il canto dei bambini e centinaia di bandiere con la Stella di Davide.
«Circa due mesi fa è venuto da me Yitzhak Levkowitz, 104 anni. Mi ha portato una foto in cui è stato ritratto con un amico nel 1946, qui a Roma. I due sono stati fotografati mentre tenevano un ricevimento in onore di mio nonno, il rabbino Yitzhak Isaac Halevi Herzog, il rabbino di Eretz Israel», ha raccontato l’omonimo nipote. Il rabbino Herzog «era nel mezzo di uno storico viaggio, intercontinentale, tra campi profughi, monasteri, incontri con comunità e governi, con leader e funzionari, a ogni livello e in ogni modo possibile, per sostenere e salvare il sopravvissuti del nostro popolo». Sono passati 80 anni dall’abisso più oscuro della storia umana, la Shoah, «ed eccomi qui, il suo nipote che ne porta il nome, che ha il privilegio di essere ospitato a Roma, nel ruolo di presidente dello Stato del popolo ebraico».
Nel corso della cerimonia, condotta dal giornalista Maurizio Molinari, Herzog ha più volte elogiato l’ebraismo romano e italiano per la vicinanza espressa dopo il 7 ottobre e durante l’anno e mezzo di guerra contro il terrorismo: «Avete dimostrato che siamo un unico popolo, con un cuore solo». Herzog ha anche lodato le istituzioni italiane, definendo molto positivi gli incontri con il suo omologo Sergio Mattarella e con la premier Giorgia Meloni. Sullo sfondo le ultime drammatiche notizie. «Abbiamo tutti capito che ci aspettano giorni di sconvolgimento tra dolore, lutto e tristezza», ha detto Herzog riferendosi alla prossima dei corpi di quattro ostaggi. Al tempo stesso «c’è la speranza per il ritorno dei nostri fratelli vivi, per Shabbat». Due le «verità assolute» enunciate dall’illustre ospite del Tempio Maggiore. La prima «è il dovere di riportare ogni ostaggio a casa, con ogni mezzo». La seconda «è la comprensione che stiamo affrontando un male assoluto e crudele».
«Signor presidente, la missione che la porta a Roma avviene in un periodo drammatico della storia dello Stato d’Israele e che coinvolge tutto il popolo ebraico», l’ha salutato il rabbino capo Riccardo Di Segni. «L’incontro programmato per domani in Vaticano è stato rinviato per lo stato di salute del papa, che sarebbe avvenuto in un’atmosfera certamente cambiata rispetto a 80 anni fa, anche se molte sono le difficoltà e le incomprensioni del momento», ha poi aggiunto il rav rivolgendo al pontefice, come già aveva fatto Herzog, gli auguri per una pronta guarigione. «Per quello che può servire sappia che come allora e come sempre avrà in questa nostra comunità antichissima ma quanto mai vitale, una sponda di appoggio e sostegno». Il dolore e l’amore provato dopo il 7 ottobre «ci hanno forgiato, hanno aumentato la nostra consapevolezza», ha quindi spiegato il presidente della Comunità ebraica romana Victor Fadlun. «Il nostro cuore», ha detto, «è spezzato per le azioni orrende commesse sulla famiglia Bibas, mamma Shiri e i due piccoli Ariel e Kfir, un neonato che aveva solo 9 mesi quando è stato rapito». Per Fadlun, «non ci sono parole per esprimere un simile abisso di malvagità», mentre a Yarden Bibas «vorremmo dire che non è solo, che anche tutta la nostra Comunità è stretta al suo fianco».
«Le 21 comunità ebraiche italiane desiderano, ancora una volta, riaffermare il loro legame indissolubile con il popolo ebraico in Israele, la nostra vicinanza e il nostro sostegno», ha dichiarato la presidente Ucei Noemi Di Segni. Per poi aggiungere: «Desideriamo ardentemente la sicurezza di tutti i suoi cittadini, il ritorno di tutti gli ostaggi e il ritorno alla vita ordinaria nei villaggi e nelle città del nord e del sud». Israele non è solo né isolato, ha proseguito Di Segni, «poiché la sua sfida esistenziale è sostenuta e difesa, in primo luogo da noi, ma anche da numerosi rappresentanti del governo italiano e delle istituzioni che sono solidali e lucidi». Di Segni si è anche rivolta «al mondo silenzioso e ai leader politici o religiosi che giudicano Israele», denunciando come il fatto di «trattenere i corpi di una madre e dei due bambini piccoli» sia «il vero crimine» e «il più crudele». Così l’ambasciatore israeliano Jonathan Peled nell’ultimo intervento della serata: «Desidero sottolineare, con soddisfazione e orgoglio, che nonostante l’aumento dell’antisemitismo e delle manifestazioni contro Israele, i nostri amici in tutta Italia superano di gran lunga coloro che lo criticano». Per il diplomatico, «il nostro compito più importante, in questo momento, è rafforzare i nostri legami di amicizia, presentare Israele come è realmente».
Adam Smulevich