LA NOTA – David Sorani: Propaganda e cinismo
Dolore, infinita pietà, angoscia, orrore, sconsolata amarezza. Questo l’insieme forte e confuso di sentimenti che le immagini della restituzione dei corpi dei piccoli Bibas (oltre a quello di una donna che però non è la loro mamma e a quello dell’anziano Oded Lifshitz, spesso vicino ai palestinesi malati) hanno prodotto in tanti. Dolore per la scomparsa atroce di due bimbi che sorridenti si affacciavano a una vita ancora tutta da percorrere, e per la fine delle irragionevoli speranze che nutrivo su una loro miracolosa sopravvivenza. Infinita pietà per il papà Yarden, a cui dopo più di un anno di sofferenza fisica e spirituale come prigioniero delle belve di Hamas all’oscuro della sorte della propria famiglia viene ora strappata con autentica crudeltà (questa sì è crudeltà, papa Bergoglio) l’ultima illusione di ritrovarla: così i terroristi uccidono “dentro” un padre a cui hanno finto di risparmiare la vita. Angoscia per il presente e il futuro di un Israele sempre più isolato e abbandonato nel suo dolore, inviso al mondo per la incrollabile forza con cui osa difendersi da attacchi militari e ora soprattutto mediatici. Orrore per per la solita oscena rappresentazione, costruita anche per la riconsegna delle spoglie degli ostaggi da terroristi che non esitano a usare dei corpi come merce di scambio per la liberazione di criminali colleghi imprigionati nelle carceri israeliane dopo regolari processi. Ma orrore anche per l’inganno e la menzogna nella “falsificazione” di uno tra i corpi resi: neppure un briciolo di lealtà verso il nemico e verso lo scenario mondiale è rimasto in questi torturatori e mercanti di morti. Sconsolata amarezza per le mancate condanne da parte di un sistema informativo che per la maggior parte dei casi si limita a proporre una asciutta, forse dolente cronaca dei fatti, ma si guarda bene dall’esprimere giudizi negativi nei confronti dei gruppi terroristi che hanno prodotto questo baratro, dei loro sostenitori e finanziatori a livello internazionale; un sistema informativo che come quello politico pare oltretutto cieco di fronte alle prospettive di estensione a livello mondiale del fondamentalismo islamista, pronto a manifestarsi con violenza anche vicino a casa nostra, come i recenti attentati in Germania e in Austria testimoniano.
Due mi paiono gli elementi degni di approfondimento e riflessione. Da un lato l’abbandono a se stesso pressoché generale in cui Israele è lasciato dall’opinione pubblica e politica internazionale, la diffusa assenza di empatia rispetto alle plurime e continue minacce di distruzione e alla ricorrente negazione della sua legittimità. Da cosa è generato questo “rifiuto” crescente e cinico? Quali conseguenze può produrre? La visione degli effetti dei bombardamenti israeliani su Gaza, riproposta incessantemente dai mass media insieme a quella di masse di popolazione prive di rifugio e di mezzi, vaganti nella perenne ricerca di stabilità e sicurezza non ha portato purtroppo a logiche considerazioni sul sistema oppressivo e minaccioso creato da Hamas, a constatazioni strategiche sulla rete di armamenti, rifugi per cellule combattenti, tunnel e depositi di missili costruiti nel cuore stesso di abitazioni, scuole, ospedali, moschee per attaccare Israele, che per questo tende a eliminare la fonte del pericolo. Quelle immagini hanno condotto invece a vedere nello Stato che si difende attivamente la potenza aggressiva e colonialista, spietata nel creare le basi di un nuovo dominio; l’esito inevitabile di un movimento sionista considerato come espressione di un Occidente distruttivo e conquistatore. In altri termini è facile, illogico ma reale il passaggio che conduce dalla critica rivolta alla cosiddetta “risposta sproporzionata”, a una versione attuale del terzomondismo in chiave filopalestinese, all’isolamento ideologico che accompagna oggi lo Stato ebraico. Una transizione che, certo facilitata da un pregiudizio antisionista/antisemita molto diffuso specialmente nella sinistra, rischia di mettere in forse l’esistenza stessa di Israele non meno dei più appariscenti pericoli militari.
Dall’altro lato occorre interrogarsi sull’impunità ideologica e sulla dignità politica di cui continua a godere Hamas nel dibattito politico. Perché una organizzazione di criminali terroristi e di intolleranti oltranzisti islamici può ancora essere protagonista di trattative diplomatiche, aspirare a governare un territorio del quale ha originato la distruzione, giocare un ruolo di rappresentanza del mondo palestinese sulla scena internazionale? Apparentemente sono interrogativi ingenui: la risposta immediata, autoevidente consiste nel fatto che la trattativa in corso prima e durante la tregua non può che svolgersi (anche se indirettamente) tra i due contendenti. Al di là di ciò, però, le domande rimandano a una reale problematicità, perché la struttura che ha organizzato un massacro come quello del 7 ottobre 2023 secondo il diritto internazionale e i diritti umani dovrebbe essere isolata, messa al bando, possibilmente eliminata. Se questo non avviene e non è scontato avvenga in futuro è in parte per la sua innegabile, perversa capacità di manovrare a proprio vantaggio i mezzi di comunicazione di massa, costruendo una falsificante immagine di sé e usandola politicamente contro Israele; in parte perché settori dell’opinione pubblica internazionale e anche alcuni governi attraverso le loro strutture diplomatiche cadono forse volontariamente in questo tranello mitizzante qualificando la guerra totale e distruttiva di Hamas contro Israele come “Resistenza”. Perché dico “forse volontariamente”? Perché mascherare Hamas da Stato resistente può significare contestare alla radice ogni presenza occidentale, filoamericana e perciò stesso vista come neo-colonialista nel Medio Oriente, presenza che disturba non solo le potenze che vogliono creare una loro egemonia in quell’area del mondo (vedi Iran, vedi Turchia per quanto in conflitto fra loro), ma anche i tanti e autoflagellanti sostenitori del pensiero woke, capace di trasformare dei fanatici integralisti in eroi di una presunta auto-liberazione.
Superare l’isolamento di Israele e distruggere Hamas con il suo mito autocelebrativo sarà uno dei compiti più difficili per lo Stato ebraico nei prossimi anni. Potrebbe essere una ricetta vincente usare moderazione in Cisgiordana per smontare il prestigio combattente di Hamas?
David Sorani