BERLINALE – “Je n’avais que le néant”, l’orrore con la grazia di Ribot

«Non avevo altro che il nulla». Sono parole che Claude Lanzmann pronuncia in un frammento delle oltre 200 ore di girato ma che non sono diventate parte di Shoah, la sua monumentale opera proiettata in versione integrale durante la settantacinquesima edizione della Berlinale, a quarant’anni dall’uscita. Sono diventate il titolo di un altro film, presentato quest’anno al Festival internazionale del cinema di Berlino: Je n’avais que le néant, del documentarista Guillaume Ribot è costruito con un montaggio di filmati inediti di Lanzmann e testi tratti dalla sua autobiografia, Le lièvre de Patagonie. Così come il libro di memorie dell’autore di Shoah esprime tutto l’orrore del XX secolo unendo la passione alla tragedia senza rinunciare all’umorismo, così durante la proiezione di Je n’avais que le néant si mescolano angoscia e risate, tra momenti drammatici e disperazione, situazioni buffe e immagini poetiche. Nonostante si tratti di un’opera molto studiata, Ribot porta gli spettatori ancora più vicino a Lanzmann costruendone un ritratto forte e poetico insieme, ruvido e commovente. Ne mostra le emozioni, la rabbia, il genio, il modo in cui affronta gli ostacoli, e ci permette di ascoltarne la voce e il pianto, le risate e i silenzi. Soprattutto i silenzi. Raccontare il non detto, il vuoto, l’assenza è impresa quasi impossibile. Raccontare come si è mosso e come ha vissuto per dodici lunghissimi anni colui che ha combattuto per riuscirci era una scommessa arrischiata, che il regista ha affrontato con una grazia forse non inaspettata. Nel 2009 Ribot aveva deciso di realizzare il suo primo documentario dopo aver scavato nella storia di famiglia: sua nonna gli aveva confidato di aver nascosto dei bambini ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, dando l’avvio a una ricerca che lo ha portato a rimettere insieme frammenti di memoria. Rovistando nei cassetti ha scoperto il quaderno di una undicenne, Susi Feldsberg. Seguendone le tracce ha attraversato Francia, Belgio, Austria, Repubblica Ceca e Polonia fino a scoprire che l’intera famiglia era stata uccisa ad Auschwitz nel settembre 1942. Ne ha tratto un film, Le cahier de Susi, cui ha poi fatto seguito un adattamento della testimonianza di Chil Rajchman, un sopravvissuto di Treblinka in Polonia: Treblinka, je suis le dernier Juif, girato tra Treblinka, Auschwitz, Belzec, Sobibor, Majdanek, Chelmno. In Vie et Destin du Livre noir, del 2019, Ribot ha raccontato come alcuni scrittori russi abbiano documentato la distruzione degli ebrei nei territori sovietici conquistati dai nazisti. Con Je n’avais que le néant è riuscito a superare se stesso.

a.t.

(Nell’immagine: Guillaume Ribot alla première del film)