ROMA – Il Talmud entra alla Biblioteca Nazionale

Rosh haShanà è stato il primo trattato del Talmud tradotto in italiano, nel 2016, lungo la strada tracciata dal protocollo d’intesa siglato cinque anni prima tra Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Consiglio Nazionale delle Ricerche e Unione delle Comunità Ebraiche Italiane / Collegio Rabbinico Italiano. Con l’intento di affermare il concetto che «il sapere è un ponte che unisce passato e futuro» una copia del trattato è stata consegnata nelle mani del direttore della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, Stefano Campagnolo, ed entrerà ora a far parte degli oltre 8 milioni di libri custoditi tra le stanze della prestigiosa istituzione.
«Circa 120 di questi sono collegati al Talmud», ha spiegato Campagnolo accogliendo la donazione del trattato. In questo senso «i primi che compaiono sono delle cinquecentine, ostili, di matrice gesuita». Dello stesso periodo «conserviamo però anche pregevolissime opere ebraiche». Per Campagnolo le porte aperte della Biblioteca Nazionale al Talmud si inseriscono «in un’ormai lunga consuetudine con il mondo ebraico: proprio quest’anno, con un convegno in preparazione per novembre, celebreremo assieme all’Ucei la conclusione del progetto di catalogazione del libro ebraico Y- ITALYA Books». Non è stato il suo primo “incontro” con questo mondo, aveva chiarito in precedenza Campagnolo. «Quando dirigevo la Biblioteca statale di Cremona ritrovai un libro di preghiere (machazor) molto antico, prezioso, con un accenno di miniatura».
Dopo una breve introduzione del responsabile ricerca, sviluppo e traduzione del Progetto Talmud David Dattilo, il rabbino capo di Roma e direttore del Collegio Rabbinico Riccardo Di Segni si è soffermato sulla valenza nazionale di questo impegno. «In Italia siamo stati sostenuti da tutti i governi che si sono susseguiti dalla firma del protocollo in poi», ha chiarito il rav. «Tutti hanno creduto in questo progetto di grande valore e spessore».
La luce e il buio
La storia del Talmud e della sua diffusione è intrecciata alla Penisola tra momenti di luce e buio, ha poi ricordato il rav. Luce: della sua stampa a Venezia si occupò «una figura eccezionale come il tipografo e mercante d’arte cristiano Daniel Bomberg, circondato da esperti rabbini di alto livello». Buio: nel 1553 il Talmud fu bruciato in Campo de’ Fiori, nel cuore di Roma, nello stesso luogo in cui nel 1600 la Chiesa avrebbe poi arso Giordano Bruno. «Come recita un famoso detto: prima i libri, poi le persone», ha sottolineato il rav. Alcuni anni fa, per ricordare quanto avvenuto, è stata collocata una targa. Il Talmud, ha poi spiegato in conclusione di serata rav Gianfranco Di Segni, coordinatore della traduzione in italiano, può essere inteso «come un grande raccoglitore: troviamo tra le sue pagine leggi, riti religiosi, aneddoti sui Maestri, interpretazioni della Bibbia e questioni relative alla mistica». È il caso quest’ultimo di uno dei brani citati nel corso della presentazione, in cui appare la figura del mistico Rabbì Shimon Bar Yochai. Vissuto a cavallo tra primo e secondo secolo, nello Zohar sarà celebrato come “la grande sorgente di luce”.