ISRAELE – L’indagine di Tsahal sui fallimenti del 7 Ottobre

L’esercito israeliano ha pubblicato i risultati dell’indagine interna sui fallimenti del 7 ottobre 2023. Un documento atteso, considerato dal paese un passaggio chiave, anche se non chiarisce tutte le lacune di uno dei più gravi disastri della sicurezza israeliana, come spiegano i media locali. L’inchiesta conferma elementi già evidenziati dagli esperti: l’errore di valutazione sulla deterrenza ottenuta nei confronti di Hamas, l’eccessiva fiducia nelle difese tecnologiche e una pericolosa mancanza di preparazione militare sul campo.

Sottovalutazione e cecità strategica
Per quasi un decennio, Israele ha interpretato male le intenzioni di Hamas, ritenendo che non intendesse riprendere una guerra su larga scala. L’intelligence ha ignorato segnali evidenti dell’escalation e non ha compreso che, dopo l’operazione “Guardiano delle Mura” nel 2021, l’organizzazione terroristica si fosse rafforzata anziché indebolita.
Tra le falle più gravi emerse nell’indagine spicca il rifiuto di considerare il piano “Muro di Gerico” – un documento che delineava un attacco simile a quello del 7 ottobre – come una minaccia concreta. Sebbene l’intelligence avesse ricevuto informazioni sul piano già nel 2018, le valutazioni lo avevano catalogato come un’ipotesi futuristica senza capacità operative reali. Il piano prevedeva lo sfondamento delle difese israeliane della Divisione di Gaza, la neutralizzazione degli avamposti militari e il successivo attacco alle città di confine. Hamas lo ha attuato con precisione, mentre Israele si è trovato del tutto impreparato a rispondere.
La sottovalutazione della minaccia è emersa con ancora più chiaramente nella gestione della notte precedente all’attacco. Nonostante segnali sospetti e un’improvvisa attività anomala di Hamas, il livello di allerta non è stato innalzato. Secondo l’indagine, questa decisione è stata presa per non esporre una risorsa di intelligence sensibile. Tuttavia, lo stesso rapporto ammette che si sarebbero potute adottare misure preventive senza compromettere fonti critiche, come riporta Makkor Rishon.

Le lacune dell’indagine
Nonostante l’importanza dell’inchiesta, il documento evita di affrontare alcuni nodi centrali, sostiene l’analista Yossi Yehoshua su Ynet: la pubblicazione delle conclusioni è stata ritardata e poi diffusa in blocco, rendendo difficile una reale comprensione da parte dell’opinione pubblica. Inoltre, scrive Yehoshua, molte delle indagini interne sono state condotte da ufficiali troppo vicini ai responsabili del fallimento, sollevando dubbi sull’imparzialità del processo.
Un altro aspetto critico, citato dalla giornalista Gili Cohen dell’emittente Kan, riguarda l’assenza di un’indagine congiunta con Shin Bet e Mossad. Le tre organizzazioni avevano ricevuto informazioni identiche su Hamas, ma hanno scelto di non confrontarsi. «Senza un’indagine comune, è impossibile comprendere a fondo le dinamiche che hanno portato al fallimento del 7 ottobre», sottolinea Cohen.
Sia Yehoshua sia Cohen criticano il fatto che l’indagine ignori completamente il ruolo del governo nella catena di comando. Non vengono menzionati i segretari militari del primo ministro e del ministro della Difesa, nonostante avessero ricevuto aggiornamenti sugli eventi della notte prima dell’attacco. «L’assenza di un’inchiesta indipendente e trasparente sulla responsabilità politica appare come un tentativo deliberato di evitare conseguenze a livello governativo», scrive Yehoshua.

Lezioni per il futuro
L’indagine ribadisce la necessità di un cambiamento radicale nel modo in cui Israele raccoglie, interpreta e utilizza l’intelligence. L’eccessiva fiducia nella tecnologia ha dimostrato i suoi limiti e deve essere affiancata da un ritorno alla raccolta di informazioni umane, con una maggiore attenzione alla capacità di Hamas di ingannare e depistare i servizi israeliani, secondo l’Institute for National Security Studies di Tel Aviv. Le valutazioni strategiche devono essere più flessibili e considerare anche scenari non convenzionali, evitando di sottovalutare il nemico.
Un altro aspetto da rivedere è la gestione della catena di comando nei momenti di crisi. Le decisioni prese nella notte del 7 ottobre dimostrano una grave disfunzione nei processi decisionali, con ufficiali di alto rango che hanno minimizzato la minaccia invece di adottare un approccio prudente. «Il coordinamento tra IDF, Shin Bet e Mossad deve diventare una priorità, per evitare che ogni organismo operi in compartimenti stagni senza una visione d’insieme», scrive Itay Blumenthal, analista militare di Kan.
Oltre agli esperti, anche il presidente israeliano Isaac Herzog chiede l’istituzione di una commissione d’inchiesta statale indipendente, che possa indagare senza pressioni interne sulle responsabilità politiche e di sicurezza.

La riforma delle IDF e il ruolo di Zamir
Il 7 ottobre ha segnato un punto di rottura per l’esercito, come si legge nell’indagine interna, e ora il compito di risanare il sistema spetta al nuovo capo di stato maggiore, Eyal Zamir. «Se Zamir vuole evitare di ripetere gli errori del passato, dovrà aprire nuove indagini, rivedere il modello di intelligence e, soprattutto, formulare conclusioni chiare», scrive Yehoshua. «Il rischio più grande per Israele è che tutto venga insabbiato, lasciando ai loro posti le stesse persone che hanno fallito».
Per ristabilire la fiducia della popolazione, Zamir dovrà segnare una netta discontinuità con il passato, conclude Yehoshua, facendo capire che il 7 ottobre non sarà dimenticato e che gli errori che lo hanno reso possibile non verranno mai più ripetuti.