ISRAELE – I genitori dell’ostaggio Matan: «Torturato ogni giorno, riportiamolo a casa» 

Matan Angrest, 21 anni, è stato rapito il 7 ottobre dal suo carro armato al confine con la Striscia di Gaza. Matan è uno dei 59 ostaggi ancora nelle mani dei terroristi palestinesi. È stato ferito durante il suo sequestro, poi ancora picchiato e torturato. E i suoi genitori vogliono che l’opinione pubblica israeliana guardi il suo volto segnato dalla violenza dei suoi aguzzini. Per questo hanno diffuso ora la foto di Matan emaciato e segnato dalle botte. «Questo è un soldato che viene torturato mentre parliamo. Un soldato che combatte per il suo paese dovrebbe avere il paese che combatte per lui», ha affermato in un’intervista alla radio Kan Hagai Angrest, padre del giovane militare. La sua richiesta così come quella della moglie Anat è chiara: chiedono al governo di «attuare tutte le fasi dell’accordo per il rilascio degli ostaggi e il cessate il fuoco prima di passare alla fase successiva della guerra». Chiedono al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di incontrarli di persona. «Perché non abbiamo sue notizie? Perché non ci incontra? La nostra richiesta dell’anno scorso, in qualità di genitori di un soldato, è ancora valida», è il disperato appello dei coniugi Angrest. Come loro, anche le altre famiglie degli ostaggi chiedono di negoziare la seconda fase dell’intesa. Una trattativa che doveva già essere avviata, ma ancora in sospeso. Netanyahu accusa Hamas di violazioni e chiede di estendere la prima fase. Una posizione ora appoggiata dagli Stati Uniti. In questo modo Israele non sarebbe vincolata a chiudere il conflitto, ma potrebbe riprendere le armi contro i terroristi palestinesi. «Dobbiamo riportare a casa Matan, la cui vita è in pericolo, e tutti gli ostaggi prima di schierare altri soldati che non torneranno», dichiarano i coniugi Angrest. Anche loro, come altre famiglie, sono rimasti coinvolti in uno scontro alla Knesset con il servizio di sicurezza del parlamento. Contro di loro è stata usata la forza e, a 24 ore di distanza, ha sottolineato Hagai, «non è chiaro il perché». Poi, sempre nel corso dell’intervista radiofonica, si è rivolto al figlio. Molti ostaggi hanno spiegato di aver visto e sentito durante la prigionia gli appelli e manifestazioni di solidarietà nei loro confronti. «Matan, nostro amato figlio, ci dispiace che tu sia ancora lì, che non siamo ancora riusciti a farti uscire e che il governo non abbia fatto abbastanza», ha affermato il padre del soldato rapito. «Continua a essere forte, stiamo facendo tutto il possibile. Gli americani stanno facendo pressione sulle autorità competenti e vogliamo davvero credere che il primo ministro che hai eletto vorrà riportarti a casa». Con dolore ha aggiunto: «Il vostro compito è semplicemente quello di rimanere vivi, e anche se vi torturano, guardate avanti e pensate al giorno in cui sarete di nuovo qui a casa. Tutti stanno aspettando il vostro ritorno».
Gerusalemme per il momento ha scelto la strada della durezza. Dopo il blocco annunciato domenica dell’ingresso degli aiuti umanitari, il portavoce del primo ministro ha spiegato che Israele non esclude di tagliare l’elettricità a Gaza come mezzo di pressione nei negoziati.