LA SPIGOLATURA – Roberto Jona: Le talee di Isaia

Nell’haftarah di Yitro, Isaia annuncia la rinascita di Israele dopo un periodo di distruzione voluto dal Signore per punire i comportamenti scorretti da parte del popolo. È interessante notare come il Profeta annunci la rinascita: «Da un pollone (prelevato dalla pianta) e gettato via (come avviene nella quercia e nel terebinto)» spunteranno le radici e da questo discenderà una progenie santa.
A considerare la profezia di Isaia da un punto di vista vivaistico – un po’ originale, lo riconosco – ci sono tutti i metodi di propagazione vegetale conosciuti allora (e che sostanzialmente non sono cambiati). Si comincia dalla talea: un «rametto, distaccato dalla pianta madre e destinato ad essere gettato» è invece in grado di germogliare e soprattutto di radicare. Non solo sopravviverà, ma addirittura sarà in grado di crescere fino a divenire un albero che fiorirà e produrrà semi, «generando (“zerà”) una futura generazione santa». Quindi l’albero propagato vegetativamente dai “bastoni gettati” (in vivaistica li chiamiamo talee) non solo attecchisce, ma addirittura cresce, riesce a fiorire e produce frutti contenenti semi. Un vivaista non avrebbe potuto esprimersi più correttamente.
Ma c’è anche l’ammirazione e la gratitudine verso il Signore per la concessione al popolo di un benessere imprevedibile: da bastoni apparentemente privi di vita nascono alberi che arrivano a fiorire e soprattutto a fruttificare. Anche oggi, se ci si sofferma sulla natura del lavoro agricolo, sorgono spontanei lo stesso stupore e la stessa gratitudine verso chi elargisce benessere attraverso materiali apparentemente trascurabili.

Roberto Jona, agronomo