LA POLEMICA – Emanuele Calò: Supplementi senza amore

Un articolo di Lorenzo Cremonesi su La Lettura del Corriere del 16 marzo 2025, recensisce il libro di Daniel Bar-Tal La trappola dei conflitti intrattabili. Il caso israelo palestinese, tradotto da Manuela Borraccino e pubblicato da Franco Angeli, dove le colpe del conflitto ricadono tutte su Israele. L’autore è professore emerito di Psicologia politica presso l’Università di Tel Aviv. In Italia, poiché Bar-Tal dice quello che tutti vogliono sentirsi dire, i riferimenti al suo libro si trovano ovunque. Cremonesi domanda: «Ma queste sue parole non danno ragione a quegli intellettuali e pensatori ebrei – come Hannah Arendt, Karl Popper, Yehuda Magnes – che addirittura prima della nascita di Israele e poi nei suoi anni formativi misero in dubbio la legittimità dell’impresa sionista?». “Mettere in dubbio la legittimità dell’impresa sionista” è un bel giro di parole per non dire “la legittimità dello Stato d’Israele”, ma state tranquilli che nessuno se ne accorge. Nemmeno l’intervistato, il quale risponde parlando del tempo («Il Paese si sposta a destra», ecc. ecc.). Bisogna saper cercare sul web, serve un 1% di abilità e un 99% di volontà, la prima si può pure acquisire, e la seconda? Non saprei. Lo dico perché leggo: Heinrich Boll Stiftung- Open Letter von Professor Daniel Bar-Tal, del 31 gennaio 2009 dove, tra varie amenità, si lamenta della “continua deumanizzazione di Hamas”: un genio.

Nella stessa pagina, Alessandra Tarquini recensisce il libro di Adam Kirsch, On Settler Colonialism. Ideology, violence and Justice, W.W. Norton & Company, che nega che Israele sia colonialista (stiamo semplificando). Siccome, trasgredendo i precetti del Deuteronomio e del Levitico, mi cibo da mane a sera di pane e volpe, faccio notare al mio unico lettore, ammesso che l’abbia, che questo libro che scagiona Israele non è stato tradotto in Italia. Magari esce domani per i tipi di un grande editore, ma per ora no, non c’è. Basterebbe leggere Matteo 6:34 34: “Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena”. Giusto, ma si può dissentire.

Vi è poi, nella pagina a fianco de La Lettura, un’intervista equilibrata di Alessia Rastelli a Roy Chen, autore de Il grande frastuono, edito in Italia dalla (per me, altamente meritoria) casa editrice Giuntina, con traduzione di Silvia Pin. Chen racconta la tragedia che vivono gli israeliani, di soldati senza gambe e dei vergognosi boicottaggi contro Israele.

Leggendo il predetto Supplemento del Corriere, la mia mente va a un film del 1956, con Paul Newman: Somebody Up There Likes Me, in italiano: Lassù qualcuno mi ama. Già, ma quaggiù?

Emanuele Calò