ISRAELE – La fine della tregua

Cellule terroristiche, siti di lancio, armi e altre infrastrutture militari utilizzate da Hamas e Jihad islamica per pianificare e compiere attacchi contro Israele. Sono alcuni dei bersagli colpiti in queste ore dall’esercito israeliano, dopo la ripresa nella notte dei combattimenti a Gaza. Il cessate il fuoco in vigore da due mesi è stato interrotto dalle nuove operazioni militari di Tsahal come risposta, ha dichiarato il primo ministro Benjamin Netanyahu, al rifiuto di Hamas di liberare gli ostaggi.
L’offensiva israeliana, pianificata da giorni e approvata dal governo, ha colpito numerosi obiettivi strategici, eliminando alcuni dei vertici politici e militari di Hamas e della Jihad islamica. Tra i terroristi uccisi, secondo fonti locali, ci sono Mahmoud Abu Watfa, capo dell’apparato di sicurezza interna di Hamas, e Muhammad Abu Ubaydah al-Jamasi, membro dell’ufficio politico dell’organizzazione. Anche Abu Hamza, portavoce militare della Jihad islamica, è stato eliminato in un raid israeliano insieme alla sua famiglia, così come Hassan a-Na’am Abu Ali, un altro alto funzionario della Jihad islamica a Khan Yunis.

Luce verde dagli Usa
Washington ha dato il suo sostegno a Gerusalemme per la ripresa dei combattimenti. Caroline Levitt, portavoce dell’amministrazione Trump, ha dichiarato: «Israele ha consultato l’amministrazione e la Casa Bianca prima degli attacchi. Come ha chiarito il presidente Trump, Hamas, gli Huthi, l’Iran e chiunque cerchi di terrorizzare non solo Israele ma anche gli Stati Uniti pagheranno un prezzo pesante».

Gli ostaggi
Nel frattempo, il dolore delle famiglie degli ostaggi – 59 ancora a Gaza – si è trasformata in protesta. Dal Forum che li rappresenta è stato chiesto un incontro urgente con il primo ministro Netanyahu, il ministro della Difesa Israel Katz e con la squadra negoziale per comprendere le prossime mosse dell’esecutivo e come intenda tutelare la vita di chi è ancora prigioniero di Hamas. «Matan è vivo e tornerà vivo», ha dichiarato Einav Tsengauker, madre di uno degli ostaggi sequestrati il 7 ottobre 2023. Assieme ad altri parenti, Einav si è recata sul confine con Gaza per chiedere l’immediata cessazione del conflitto. «Se Netanyahu decide di sacrificare mio figlio, anch’io sarò una vittima. Non resterò a casa ad aspettare che un soldato bussi alla mia porta», ha aggiunto con rabbia. Anche Yarden Bibas si è unito alle voci che chiedono al governo di fermare le ostilità. «Mia moglie e i miei figli sono stati rapiti vivi e uccisi in prigionia. Sono terrorizzato per i miei migliori amici David e Ariel Cuneo. La pressione militare mette in pericolo i rapiti, un accordo li riporta a casa», ha affermato Bibas.
Nonostante il riaccendersi del conflitto, vi sono ancora tentativi per ricucire un possibile accordo. Hamas ha dichiarato di essere impegnato nei colloqui con i mediatori e di voler completare l’attuazione dell’accordo di cessate il fuoco. Israele non si fida e chiede la totale smilitarizzazione della Striscia di Gaza così come la restituzione degli ostaggi, sia i 24 ritenuti ancora vivi sia le 35 salme ancora in mano ai terroristi palestinesi.

L’estrema destra torna al governo
Chi non vuole l’accordo è l’estrema destra di Itamar Ben Gvir. Il capo del partito Otzma Yehudit, dopo aver lasciato il governo a gennaio in protesta con il cessate il fuoco siglato a Gaza, è ora rientrato nell’esecutivo. D’accordo con Netanyahu, Ben Gvir tornerà a ricoprire la carica di ministro per la Sicurezza nazionale, mentre i suoi compagni di partito, Yitzhak Wasserlauf e Amichai Eliyahu, saranno nuovamente ministro per il Negev e la Galilea e ministro per il Patrimonio storico.