FIRENZE – In corso il restauro delle porte dell’Aron

Fu il maestro intagliatore Ferdinando Romanelli a imbellire a fine Ottocento l’armadio sacro della sinagoga di Firenze. Capitale d’Italia fino a pochi anni prima, la città del giglio era la sede di una scuola prestigiosa di quest’arte e Romanelli in primis ne fu ambasciatore distinguendosi in mostre ed esposizioni internazionali. Si dedicò all’armadio negli stessi mesi in cui la sinagoga era completata e inaugurata al pubblico, nel 1882.
Oltre 130 anni dopo, il tempo ha lasciato qualche segno d’usura e le porte dell’Aron HaQodesh sono oggetto in questi mesi di un restauro, sostenuto a livello economico dalla fondazione Friends of Florence. «Il nostro è un intervento abbastanza ordinario, ma trattandosi di un bene storico con alcuni vincoli, serve un particolare scrupolo», racconta Simone Chiarugi, titolare di una delle due botteghe fiorentine alle quali è stato assegnato l’incarico. «Si tratta di lavorare soprattutto sulle fessurazioni e sulla rimozione dello sporco, stando bene attenti a preservare alcuni segni che si possono notare sulla superficie», prosegue il professionista. «Li lasciarono i nazisti, con le loro baionette, quando cercarono di abbattere le porte. Una testimonianza storica». Il restauro si sta svolgendo all’interno della sinagoga, in un’area laterale. Dovrebbe concludersi a metà maggio, quando il periodo dell’Omer che si estende tra le feste di Pesach e Shavuot sarà vicino alla conclusione. Superata la solennità di Shavuot, che cade quest’anno all’inizio di giugno, sarà possibile celebrare di nuovo dei matrimoni «e la Comunità vorrebbe farlo con le porte originali».
Chiarugi non è nuovo a commissioni in ambito ebraico. Ha già restaurato le porte dell’aron d’epoca settecentesca della sinagoga di Siena e, nel 2018, ha partecipato al restauro della cupola centrale della sinagoga fiorentina. «Fu un intervento spettacolare, con tanto di tecnici acrobati e l’installazione di una rete protettiva. Dal basso non la si vede, perché in nylon». Chiarugi guida da anni la ditta di famiglia, fondata nel 1928 e passata da allora di generazione in generazione. Nonno, figlio, nipote. «Ci sono dentro da quasi mezzo secolo», spiega. «È un lavoro che si fa spinti anche dall’amore per l’arte e per il bello. E qui dentro ce n’è tanto. A me piace molto lavorare in squadra e cercare di insegnare qualcosa ai giovani».

Adam Smulevich