ISRAELE – Approvata riforma meccanismo nomina giudici, opposizione lascia l’aula

In una seduta notturna segnata da tensioni, la Knesset ha approvato con 67 voti favorevoli e uno contrario – l’opposizione ha abbandonato l’aula per protesta – la legge che modifica la composizione del Comitato di selezione giudiziaria. La riforma, voluta dal ministro della Giustizia Yariv Levin, rafforza il controllo politico sulla nomina dei giudici. L’opposizione ha boicottato il voto finale, uscendo dall’aula e denunciando quella che definisce «una pericolosa deriva autoritaria».
La legge entrerà in vigore nella prossima legislatura, dopo le elezioni previste per la fine del 2026. Il testo approvato rappresenta una versione ammorbidita della riforma giudiziaria proposta nel 2023, inizialmente bloccata dopo forti contestazioni di piazza.
Dal 1953, il Comitato è composto da nove membri: tre giudici della Corte suprema, due ministri, due deputati (uno della coalizione e uno dell’opposizione) e due rappresentanti dell’Ordine degli avvocati. La nuova legge ne modifica la composizione, eliminando i due avvocati e sostituendoli con due “rappresentanti pubblici” nominati dalla coalizione e dall’opposizione.
Il provvedimento introduce una nuova maggioranza per le nomine alla Corte suprema: si passa da 7 su 9 a 5 su 9, a condizione che vi sia l’accordo di almeno un rappresentante della coalizione e uno dell’opposizione. Per i tribunali inferiori, ogni nomina dovrà avere l’approvazione di un membro della coalizione, uno dell’opposizione e uno dei giudici.
Per il governo si tratta di una riforma necessaria per ristabilire un equilibrio tra i poteri dello stato. Il ministro Levin sostiene da tempo che la Corte suprema si sia trasformata in un organo iperattivo, che ha progressivamente ampliato la propria influenza fino a interferire con il lavoro legislativo e governativo. Secondo lui, la Corte ha «annullato il ruolo della Knesset arrogandosi il diritto di invalidare non solo leggi ordinarie, ma anche leggi fondamentali», ovvero quelle che in Israele svolgono una funzione quasi costituzionale. In più occasioni, Levin ha accusato la magistratura di avere usurpato poteri che non le spettano: di bloccare nomine, imporre decisioni al governo e di voler decidere sulla legittimità del mandato del primo ministro.
Da questa prospettiva, i promotori sostengono che la riforma rendere più rappresentativo il processo di selezione dei giudici, rafforzando la voce della politica in un sistema che, secondo Levin, finora è stato controllato da un’élite giuridica autoreferenziale. La coalizione di Netanyahu ha presentato la nuova composizione del comitato come un compromesso equilibrato, capace di aumentare il pluralismo e limitare l’influenza delle corporazioni professionali, senza consegnare alla sola maggioranza il controllo delle nomine.
Per i critici, tra cui le opposizioni, la riforma opera «una politicizzazione pericolosa della giustizia». Lo sostiene tra gli altri il giurista Guy Lurie dell’Istituto per la Democrazia Israeliana. In un’analisi pubblicata nei giorni precedenti al voto, Lurie scrive che la riforma riflette «un più ampio spostamento verso la subordinazione delle istituzioni legali all’autorità politica».
Questo vale, prosegue il giurista, non solo per la Corte suprema ma anche per i tribunali ordinari, dove, a differenza delle alte corti, non avrebbe senso introdurre criteri di rappresentanza politica. «Le nomine giudiziarie», avverte Lurie, «diventano parte delle negoziazioni politiche, soggette a logiche di scambio tra partiti e coalizioni, anziché a criteri professionali e di indipendenza». Per il giurista la riforma pone a Israele una domanda esistenziale: «rimarrà un regime democratico in cui la legge governa, o diventerà un regime populista-autoritario in cui il primo ministro è al di sopra della legge?».

(Foto dal portale della Knesset)