OSTAGGI – Rapito dal carro armato, la storia di Matan Angrest

Matan Angrest è nato e cresciuto a Kiryat Bialik, tranquilla cittadina alla periferia nord di Haifa. È il maggiore di quattro fratelli e «quando tornava dall’esercito, riempiva sempre la casa di gioia e di musica», hanno raccontato i genitori. Matan ha 22 anni e condivide il compleanno con la sorella più piccola, Adi, 19 anni. Sono entrambi nati il 28 novembre e hanno sempre festeggiato insieme. Ma da due anni, questa tradizione si è interrotta. Matan non è più accanto ad Adi: da 542 giorni è ostaggio di Hamas a Gaza.
Il 7 ottobre 2023, Matan stava prestando servizio in un’unità corazzata dell’esercito israeliano a Nahal Oz, al confine con la Striscia. Dal suo ultimo messaggio alla famiglia, alle 7.15 del mattino, traspare il tentativo di rassicurare, ma anche la preoccupazione: «Abbiate cura di voi, va tutto bene». «Dopo quel messaggio è caduto il silenzio. Abbiamo cercato di contattarlo decine di volte, ma nulla. Abbiamo controllato in tutti gli ospedali, chiamato chiunque senza avere notizie», ha ricordato la madre Anat in un’intervista a ynet. Dopo alcuni giorni l’esercito ha informato gli Angrest del destino del figlio. È stato rapito dal carro armato su cui stava combattendo. È l’unico dei quattro commilitoni a bordo ad essere vivo, ma è ferito in modo serio. I terroristi lo hanno portato via. «Sappiamo che Matan e i suoi compagni hanno salvato decine di persone. Sono degli eroi», ha spiegato il padre, Hagai.
I terroristi di Hamas in questo anno e mezzo hanno diffuso due video del giovane soldato. L’ultimo è di inizio marzo in cui si vede Matan emaciato e con evidenti tagli e lividi al volto, ma vivo. «Questo è un soldato che viene torturato mentre parliamo. Un soldato che combatte per il suo paese dovrebbe avere il paese che combatte per lui», ha commentato sconvolto il padre.
Secondo i racconti di alcuni ostaggi liberati, Matan ha perso l’uso della mano destra, il suo volto è stato deformato dalle botte. «Come madre, non c’è niente di peggio di vedere tuo figlio indifeso, ferito e che chiede aiuto, e tu non puoi fare nulla», ha confessato Anat. «Confidiamo che sappia che la sua famiglia e i suoi amici lo stanno aspettando, che deve resistere».
Per mesi gli Angrest hanno scelto il silenzio, pensando fosse la strada migliore per aiutare Matan. «Ma ci siamo resi conto che non parlare lo mette ancor più in pericolo», ha spiegato il padre.
E così ogni sabato la famiglia lascia Kiryat Bialik per unirsi alla manifestazione in Piazza degli Ostaggi a Tel Aviv. Chiedono al governo di Benjamin Netanyahu di siglare un accordo con i terroristi e «riportare a casa subito Matan e tutti gli altri rapiti». Genitori e fratelli di Matan sono esausti, «ma continuiamo a lottare per lui e non vediamo l’ora di riabbracciarlo».
Nella casa di Kiryat Bialik, la stanza di Matan dal 7 ottobre non è più stata toccata. Sopra la scrivania ci sono i giochi della PlayStation, un certificato di eccellenza del suo comandante, e una sciarpa del Maccabi Haifa. «Ogni cosa è al suo posto», ha raccontato piangendo la madre. «È insopportabile vedere quella stanza vuota». 

d.r.