OSTAGGI – Elkana Bohbot e il sogno di una gelateria a Tel Aviv

Il Nova Festival di Re’im era l’ultimo progetto musicale di Elkana Bohbot, 36 anni. Dopo una vita nella produzione di concerti, Elkana aveva deciso di cambiare vita e aprire una gelateria nel cuore del mercato Carmel, a Tel Aviv. L’inaugurazione era prevista una settimana dopo il Nova Festival del 7 ottobre 2023, ma non c’è mai stata. Da 544 giorni il piccolo spazio del mercato dove doveva sorgere è vuoto. I genitori di Elkana stanno pagando la retta per mantenerne l’affitto, mentre il loro figlio, da un anno e mezzo, è ostaggio di Hamas.
Il Nova doveva essere una parentesi, un ritorno alle origini con i suoi amici di sempre, i gemelli Osher e Michael Vaknin. I tre avevano fondato nel 2012 la società Mushroom Project, tra le più attive nella scena trance israeliana. Elkana ne era poi uscito, ma per quell’evento aveva scelto di tornare al fianco dei gemelli. La mattina del 7 ottobre erano tutti e tre lì a gestire il festival. Quando è iniziato l’attacco, hanno scelto di non fuggire, ma di aiutare le persone a mettersi in salvo. Elkana conosceva la zona, sapeva come muoversi, ha raccontato la moglie Rivka. «Qualcuno da una macchina lo ha invitato a scappare, lui ha preferito restare perché si sentiva responsabile. Voleva salvare più persone possibile». Ma i terroristi hanno avuto la meglio: Elkana è stato rapito – un video lo ritrae durante il sequestro, ferito ma vivo – e i suoi amici Osher e Michael sono stati assassinati, assieme a centinaia di persone.
Per mesi, la famiglia non ha avuto notizie. La testimonianza di uno degli ostaggi liberati nell’accordo di gennaio ha dato loro qualche informazione: Elkana è stato tenuto a lungo decine di metri sottoterra, in una piccola stanza, senza aria né luce. Con altri ostaggi ha condiviso frammenti di pita. Il venerdì sera si è organizzato per recitare la benedizione del sabato, usando acqua al posto del vino e un pezzo di stoffa al posto della kippah. Durante lo Yom Kippur ha digiunato. «Gli mancate, ma sta tenendo duro», ha commentato un ex ostaggio, con cui ha condiviso la prigionia.
A casa, a Mevasseret Zion, lo aspetta il figlio Ram, tre anni. All’asilo il piccolo si è costruito un binocolo per guardare il cielo. «Ha saputo che suo padre tornerà in elicottero, come accaduto per gli altri rapiti liberati, quindi lo cerca sempre, sperando che appaia da un momento all’altro», ha spiegato la nonna Ruhama, madre di Elkana.
A inizio marzo Hamas ha pubblicato due video di propaganda che ritraggono Elkana. Il secondo è il più angosciante. L’ostaggio appare in lacrime, piegato a terra, il volto tra le mani. «Sto soffocando! Voglio uscire. Per favore, aiutatemi. Mi mancano mia moglie, mio figlio, tutta la mia famiglia… fatemi uscire di qui». Guardando il video, il fratello Yaakov ha commentato: «All’inizio sei travolto dal vederlo dopo così tanto tempo. Ma poi ti accorgi che non è davvero lui. Non è la persona che conosci. Non il suo linguaggio del corpo, la sua espressione, la sua energia. Le parole non sono sue, anche se il corpo lo è.»
Ad Haaretz, Ruhama ha descritto il figlio come un «padre-bambino». Ogni venerdì tornava a casa con un regalo per sé e uno per il piccolo Ram. Giocavano sempre insieme. Elkana, aggiunge la madre, «è un uomo con la testa da padre e il cuore da figlio». In questi 544 giorni di prigionia, ha proseguito Ruhama, uno dei suoi pensieri è stata la gelateria. «Si è chiesto se lo stand a Tel Aviv fosse ancora suo. Anche se non possiamo rispondergli direttamente, la nostra risposta è sì: ci siamo presi cura di tutto.»
A lungo Rivka, cittadina colombiana e israeliana, ha mantenuto il silenzio. Le avevano consigliato di non parlare delle condizioni del marito ostaggio, per proteggerlo. Ma l’esclusione di Elkana dalla prima fase dell’accordo di gennaio le ha fatto cambiare idea. Ora rilascia interviste ovunque, da Israele alla Colombia. È intervenuta all’Onu e al governo israeliano chiede un nuovo accordo per riportare il marito a casa. Quando ha visto l’ultimo video di Hamas era in macchina con Ram. «Mi sono fermata sul ciglio della strada, ho iniziato a guardare, ho guardato le labbra, le guance, gli occhi infossati di mio marito e sono scoppiata a piangere. Mio figlio mi ha chiesto: “Perché piangi?” e io ho risposto: “Solo un momento, Ram”, prima di spiegargli: “La mamma sente la mancanza di papà”. Non potevo fargli vedere il video. Questo non è mio marito, è un’altra persona. Non è l’uomo che ci ha lasciato il 6 ottobre con un sorriso e i capelli biondi. È così che mio figlio dovrebbe ricordare suo padre. Lo rivogliamo indietro».
d.r.